Il saggio “L’Io e l’altro – Il viaggio in India da Gozzano a Terzani” di Alida D’Aquino per Avagliano Editore, nonostante le premesse iniziali risulta abbastanza deludente. Già dall’incipit dell’opera si legge che l’autrice ha preso in esame soltanto le pagine dei più “interessanti scrittori” in viaggio del Novecento italiano; ignorando quindi gli ottimi e originali reportage realizzati da scrittori come Federico Rampini, Folco Quilici, ecc.
In un certo qual modo la D’Aquino sembra rivolgere il suo interesse solo ed esclusivamente verso autori che rientrano fra le proprie preferenze. Ciò è più evidente nella disamina dell’ opera di Guido Gozzano, che risulta infatti approssimativa e stereotipata. L’autrice cerca in tutti i modi di comunicare al lettore che l’India descritta da Gozzano sia una mera rappresentazione immaginifica dell’ego strutturato del poeta torinese. Secondo la D’Aquino, questo avviene anche quando Gozzano si esprime sulla casta indiana, scrivendo che questi si trincerava dietro osservazioni dettate, da un finto distacco professionale. Guido Gozzano andava in India a scoprire il significato profondo della sua malattia e la ragione della propria esistenza. Proprio per tale motivo, l’opera di uno scrittore atipico come quella del poeta crepuscolare, non può essere liquidata con lapidarie sentenze. La stessa cosa avviene anche quando l’autrice ci racconta del viaggio indiano di Ercole Patti. Il registro cambia soltanto quando la D’Aquino si cimenta nel commentare i reportage di Pasolini e Moravia che naturalmente dimostra di prediligere rispetto ad altri. Per carità, sia Moravia che Pasolini hanno scritto dei libri fantastici sull’India, ma l’oggettività di chi ha deciso di commentarli si fa da parte per far spazio ad una soggettività palese. Infine non si può trattare il testamento spirituale di uno scrittore come Tiziano Terzani (Un altro giro di giostra) in così poche pagine e in maniera così affrettata. Il titolo prometteva di indagare l’interiorità di chi viaggia e dei risvolti con l’altro; purtroppo l’unica cosa riscontrata e “l’io” di chi ha scritto il libro e che ha scelto di non “contaminarsi” con la prospettiva resa manifesta dagli scritti degli autori da lei presi in esame. Forse la D’Aquino non ricorda che Giacomo Leopardi nello Zibaldone scrisse che: “ il mondo e gli oggetti sono in un certo modo doppi . Egli vedrà con gli occhi una torre, una campagna; udrà cogli orecchi un suono di campana; e nel tempo stesso con l’immaginazione vedrà un’altra torre, un’altra campagna, udrà un altro suono. In questo secondo genere di obietti sta tutto il bello e il piacevole delle cose”.Le cose non ci appaiono mai come sono nella loro vera essenza, ma come noi decidiamo di immaginarle. Gran parte dei viaggi compiuti sono ancor prima di esser tali, dei viaggi della mente. Visioni seriali di una immagine mediata dalla cultura e da ogni contaminazione che proviene indirettamente dall’esterno.Unica nota positiva del testo, è l’appendice di chiusura che racchiude i contributi di scrittori come Flaiano, Tabucchi, etc; per il resto un libro che poteva affrontare la tematica del viaggio e dell’alterità, in maniera più incisiva e decisivamente più interessante.
In un certo qual modo la D’Aquino sembra rivolgere il suo interesse solo ed esclusivamente verso autori che rientrano fra le proprie preferenze. Ciò è più evidente nella disamina dell’ opera di Guido Gozzano, che risulta infatti approssimativa e stereotipata. L’autrice cerca in tutti i modi di comunicare al lettore che l’India descritta da Gozzano sia una mera rappresentazione immaginifica dell’ego strutturato del poeta torinese. Secondo la D’Aquino, questo avviene anche quando Gozzano si esprime sulla casta indiana, scrivendo che questi si trincerava dietro osservazioni dettate, da un finto distacco professionale. Guido Gozzano andava in India a scoprire il significato profondo della sua malattia e la ragione della propria esistenza. Proprio per tale motivo, l’opera di uno scrittore atipico come quella del poeta crepuscolare, non può essere liquidata con lapidarie sentenze. La stessa cosa avviene anche quando l’autrice ci racconta del viaggio indiano di Ercole Patti. Il registro cambia soltanto quando la D’Aquino si cimenta nel commentare i reportage di Pasolini e Moravia che naturalmente dimostra di prediligere rispetto ad altri. Per carità, sia Moravia che Pasolini hanno scritto dei libri fantastici sull’India, ma l’oggettività di chi ha deciso di commentarli si fa da parte per far spazio ad una soggettività palese. Infine non si può trattare il testamento spirituale di uno scrittore come Tiziano Terzani (Un altro giro di giostra) in così poche pagine e in maniera così affrettata. Il titolo prometteva di indagare l’interiorità di chi viaggia e dei risvolti con l’altro; purtroppo l’unica cosa riscontrata e “l’io” di chi ha scritto il libro e che ha scelto di non “contaminarsi” con la prospettiva resa manifesta dagli scritti degli autori da lei presi in esame. Forse la D’Aquino non ricorda che Giacomo Leopardi nello Zibaldone scrisse che: “ il mondo e gli oggetti sono in un certo modo doppi . Egli vedrà con gli occhi una torre, una campagna; udrà cogli orecchi un suono di campana; e nel tempo stesso con l’immaginazione vedrà un’altra torre, un’altra campagna, udrà un altro suono. In questo secondo genere di obietti sta tutto il bello e il piacevole delle cose”.Le cose non ci appaiono mai come sono nella loro vera essenza, ma come noi decidiamo di immaginarle. Gran parte dei viaggi compiuti sono ancor prima di esser tali, dei viaggi della mente. Visioni seriali di una immagine mediata dalla cultura e da ogni contaminazione che proviene indirettamente dall’esterno.Unica nota positiva del testo, è l’appendice di chiusura che racchiude i contributi di scrittori come Flaiano, Tabucchi, etc; per il resto un libro che poteva affrontare la tematica del viaggio e dell’alterità, in maniera più incisiva e decisivamente più interessante.
Dott. Cristian Porcino