venerdì 3 aprile 2009

“Suicidi in capo al mondo” di Leila Guerriero


“Suicidi in capo al mondo” di Leila Guerriero pubblicato da Marcos Y Marcos è la testimonianza nuda e cruda di una sequela di suicidi avvenuti fra il 1997 e il 2005, nella Patagonia Argentina, e più precisamente nel paesino di Las Heras. La giornalista argentina Guerriero affronta l’argomento raccogliendo diverse testimonianze dei genitori delle vittime e degli amici. Il libro per certi versi risulta molto interessante; anche se però evidenza dei grossi limiti narrativi e linguistici. La terminologia utilizzata dall’autrice per descrivere le personalità di certi soggetti umani è a mio avviso poco consona alla trattazione dell’argomento, e soprattutto del tutto fuorviante. La Guerriero apostrofa più volte alcune persone omosessuali con degli epiteti poco gratificanti e soprattutto viziati da un pregiudizio di fondo. Spesso lei scrive di trovarsi di fronte ad una checca, ad un frocio,o ad una puttana, e così via. Non è certamente un problema di traduzione dallo spagnolo che per altro Barbara Bertoni ha compiuto egregiamente; piuttosto credo sia proprio una caratteristica dell’autrice, che dimostra una superficialità ed una mancanza di tatto non indifferente. Addirittura a pagina 88 si legge: “ quel tipo si chiamava Jorge Salvatierra e sfoggiava per la prima volta quella pettinatura con riccioli e frangetta, che ogni tanto si aggiustava con un dito, un gesto da vera signorina”. Leila Guerriero avrebbe potuto risparmiarci i suoi giudizi morali sulle persone conosciute durante il suo soggiorno a Las Heras. La descrizione dei fatti e della cittadina è tanto desolante da apparire, in certi frangenti, quasi un’opera neorealista. La giornalista nonostante abbia condotto una scrupolosa indagine sul campo, alla fine del libro non perviene ad alcuna soluzione. Molti possono essere i fattori che hanno spinto queste persone a suicidarsi; ma anche molti sono i fattori che non si conoscono e forse mai si sapranno. Di sicuro ciò che viene fuori dalla descrizione effettuata dall’autrice sono dei possibili moventi; ossia il vivere in una cittadina sperduta, senza sbocchi professionali, senza luoghi idonei allo svago intellettivo, perché per quelli sessuali vi erano i bordelli, etc. Molti hanno trovato conforto nella religione che a mio avviso ha soltanto incentivato il meccanismo illusorio che ha poi reso irreversibile il processo di non identificazione con la realtà circostante. “Suicidi in capo al mondo” non ha un ritmo ben preciso; a tratti avvince e a tratti stanca. Tutto sommato rimane un lavoro da leggere perché affronta un tema scottante e poco dibattuto come quello del suicidio.


Cristian Porcino