sabato 18 ottobre 2025

Vietare l’educazione sessuo-affettiva è un fallimento della scuola

 


Vietare per legge l’educazione sessuo-affettiva nelle scuole medie rappresenta un fallimento profondo del nostro sistema educativo. È quanto prevede il recente decreto discusso in Parlamento: una scelta che rinuncia al compito più alto della scuola — formare cittadini consapevoli, capaci di comprendere sé stessi e gli altri.
Non è la sessualità in sé a spaventare, ma la possibilità che le nuove generazioni crescano più libere, consapevoli e felici di quanto non siano stati gli adulti che oggi le educano e le governano. Perché adulti sereni e autonomi difficilmente si lasciano manipolare da chi alimenta paura e semplificazioni.
Da insegnanti, vediamo ogni giorno il disorientamento dei ragazzi, immersi in un mondo ipersessualizzato che offre immagini e modelli senza contesto. I loro corpi cambiano, ma mancano le parole per capirli. Non sanno ancora chi sono, e faticano a distinguere ciò che desiderano da ciò che il mondo adulto si aspetta da loro.
L’educazione sessuo-affettiva non mira a spiegare il Kamasutra, ma a fornire un linguaggio e un contesto per comprendere la realtà emotiva e corporea che accompagna la crescita. Come ricorda lo psicologo Alberto Pellai, “non parlare di affettività e sessualità non significa proteggerli, ma lasciarli soli” in una società che li espone precocemente a messaggi distorti.
La psicoterapeuta Stefania Andreoli aggiunge che questo tipo di educazione non mina i valori familiari, ma li sostiene, perché “la conoscenza di sé è la base della libertà e della responsabilità”.
Negare questo spazio di riflessione spinge gli adolescenti verso internet e la pornografia online, con conseguenze profonde sulla percezione di sé e dell’altro. Ma il danno più grave è simbolico: rinunciare a parlare significa rinunciare a pensare. Come ricorda Umberto Galimberti, “vietare di pensare o di parlare di ciò che è naturale significa negare la possibilità stessa di un’etica”, perché l’etica nasce dal confronto consapevole con la nostra dimensione corporea e affettiva.
Sottrarre ai ragazzi l’opportunità di nominare ciò che vivono equivale a condannarli al silenzio, e il silenzio genera vergogna, paura, dipendenza da chi promette risposte facili. Se la scuola italiana avesse investito, con la stessa convinzione riservata all’insegnamento della religione, in un’educazione all’affettività e alla sessualità, oggi forse avremmo cittadini più empatici e meno soli.
L’educazione sessuo-affettiva non è un pericolo: è un atto di fiducia. Nella libertà, nel pensiero critico, e nella possibilità che i nostri ragazzi diventino adulti migliori di noi.

©️ Cristian A. Porcino Ferrara