
Caro Pier Paolo,
sono trascorsi cinquant’anni dal tuo barbaro assassinio. Ci sono voluti cinquant’anni e la tua morte violenta perché si riconoscesse la forza della tua denuncia sociale. La nomenclatura umana da te tracciata all'epoca fu osteggiata da ogni parte politica. Rifiutato e considerato un reietto — un paria molto amato all’estero, ma mal visto in patria.
Adesso ogni partito politico ti tira per la giacchetta per portarti dalla propria parte, e mi fa sorridere vederti citato da chi, un tempo, ti additava come il mostro da silenziare. Dopo cinquant’anni sei entrato nei programmi scolastici e sei diventato perfino traccia dell’esame di maturità.
Col senno di poi, si sono accorti che la tua opera era profetica, e che la tua visione — allora definita pessimista e nefasta — è diventata la nostra realtà.
Eppure, ai tempi del liceo, venni umiliato e deriso da un docente che ti vedeva come un untore: tu, il diverso, colui che rischiava di compromettere la supposta normalità a cui ogni maschio doveva aspirare.
Ti scelsi con consapevolezza come “cattivo maestro” e ti portai a scuola.
Mi chiedo spesso cosa avresti pensato di un’epoca in cui il linguaggio è usato come arma e chi possiede il potere lo impiega per manipolare la verità. [...]
Oggi continuo a leggerti, a interrogarmi, a cercare nelle tue parole e nelle tue immagini quella libertà che ancora ci spaventa.
©️ Cristian A. Porcino Ferrara