venerdì 10 ottobre 2025

L’amore rimosso – Parte II. La letteratura eteronormativa e le sue omissioni

 




C’è qualcosa di profondamente allarmante nel modo in cui la scuola continua a raccontarci la letteratura.
Ogni autore sembra avere la sua “bella morosa” cui dedicare versi e tormenti, come se la sensibilità poetica potesse nascere solo dall’amore per una donna. La norma si traveste da tradizione e la tradizione da verità. Ma se sei maschio e i tuoi sentimenti o desideri non seguono la direzione prevista, sembri fuori dal racconto — e dunque fuori dal mondo.
Nei manuali tutto scorre liscio, rassicurante, come se la storia delle lettere fosse un lungo elogio dell’eterosessualità. Si studiano i poeti innamorati di figure femminili idealizzate, mentre i legami che non rientrano in quella narrazione vengono archiviati nel silenzio. Così accade per Leopardi: si parla della sua delusione per Fanny Targioni Tozzetti, ma non del rapporto profondo e autentico con Antonio Ranieri.



La scuola trasmette la metà di una verità e la spaccia per intera.
E non è solo Leopardi. Nei manuali, l’unico autore italiano dichiaratamente omosessuale sembra essere Pasolini, come se il suo coraggio avesse esaurito da solo l’intera questione. Ma la realtà letteraria è molto più complessa e ricca. Umberto Saba, per esempio, affida al romanzo postumo Ernesto la confessione di un desiderio che per tutta la vita ha dovuto tacere: il rapporto tra il giovane protagonista e un uomo più grande diventa un momento di rivelazione e di conflitto, tenero e doloroso insieme.




Anche Giorgio Bassani, ne Gli occhiali d’oro, racconta con grande finezza la solitudine di un medico omosessuale nella Ferrara fascista, emblema di un’umanità esclusa e perseguitata.
E poi c’è Aldo Busi, autore di un capolavoro assoluto come Seminario sulla gioventù: un romanzo di formazione audace, ironico, scritto divinamente, che affronta il tema dell’identità e dell’accettazione di sé con una lucidità che la scuola continua a ignorare. Eppure un testo come questo, se proposto agli studenti, aiuterebbe a comprendere che la letteratura non serve a confermare le norme, ma a metterle in discussione.
Sono storie e voci che la scuola raramente nomina, come se non fossero parte della nostra identità culturale. E invece lo sono, eccome: fanno parte di quella verità intera che abbiamo smesso di raccontare.
Questo silenzio non è casuale: è una strategia culturale. È il modo con cui si stabilisce che solo un certo tipo di amore è degno di parola, di memoria, di storia. Tutto il resto — i corpi, i desideri, le differenze — viene espulso come un errore. La letteratura diventa così un meccanismo di esclusione, non di conoscenza.
Michela Murgia, in un’intervista che non smetto di citare, ricordava che chi non vive la discriminazione spesso non ne comprende la necessità di superarla. Chi detiene il privilegio si convince che il mondo che vede sia l’unico possibile, e quando gli si mostra la marginalizzazione altrui, risponde che “si esagera”. Ma negare l’esperienza dell’altro è il modo più efficace per continuare a esercitare quel privilegio.
Nel mio libro Sulle tracce dell’altrove ho cercato di raccontare proprio questo: il disagio silenzioso di chi cresce tra i banchi di scuola senza mai trovare una storia che gli assomigli.
Quando la realtà omosessuale viene ignorata, non è solo una dimenticanza: è un messaggio implicito. È come dire “tu non esisti”, oppure peggio, “non devi esistere”. E allora l’aula, che dovrebbe essere un luogo di conoscenza e di libertà, diventa un laboratorio di conformismo.
Forse dovremmo domandarci non solo quali storie scegliamo di raccontare, ma perché continuiamo a raccontarne sempre le stesse.
L’amore — ogni forma d’amore — è materia universale, eppure la sua rappresentazione resta sorvegliata, normalizzata, selettiva.
E mentre si discute di educazione affettiva e di parità di genere nelle scuole, nessuno mette in discussione i manuali che perpetuano un’unica idea di desiderio.
Il punto non è “aggiungere autori gay” come si aggiunge una nota a piè di pagina. Il punto è riscrivere la narrazione stessa, liberarla dai filtri morali che ancora oggi la ingabbiano.
Riconoscere l’amore omosessuale non è una concessione né un atto politico: è restituire alla letteratura la sua interezza, la sua verità.
Perché la scuola non dovrebbe operare censure e discriminazioni, ma il diritto — e il coraggio — di amare.

©️ Cristian A. Porcino Ferrara