“Il sonaglio” di Andrea Camilleri per Sellerio Editore chiude la trilogia fantastica iniziata con “Maruzza Musumeci” (2007) e “Il casellante” (2008).
Questa fiaba ci riporta a quelle atmosfere bucoliche e rurali di una Sicilia lontana nel tempo ma non nel ricordo dello scrittore. In alcuni passi Andrea Camilleri rievoca il verismo di Verga, così come la drammaturgia di Luigi Pirandello. Durante la lettura del presente racconto l’autore ci descrive paesaggi e situazioni servendosi, ancora una volta, del dialetto siciliano. La storia narra di un giovane capraio Giurlà a contatto con una realtà totalmente estranea a quella in cui era vissuto per la prima parte della sua vita, e a cui si adatterà rapidamente. Durante la sua esperienza da mandriano, svilupperà un rapporto affettivo intenso con una capra di nome Beba che al di là del proprio aspetto, zoologicamente determinato, ama e si fa desiderare proprio come una donna. Attraverso la lettura del poeta Lucrezio Giurlà apprende della metamorfosi della natura. Beba non è solamente una capra per Giurlà, ma l’amore della sua vita. Non riesce a stare lontano da lei, che domina persino i suoi sogni così come i suoi pensieri. Attraverso Beba Giurlà arriverà a compenetrare il mistero dell’amore che transiterà dalla capra ad Anita. Andrea Camilleri nei racconti al di fuori della saga del commissario Montalbano può permettersi di spaziare in lungo e in largo nel regno della fantasia. Il romanzo è avvincente, trascinante e coinvolgente, grazie anche alla solita verve linguistica. Il lieto fine sembra proprio omaggiare la favola di Jeanne Marie Leprince de Beaumont “la Bella e la Bestia”. “Il sonaglio” inoltre cerca di spingere il lettore a riflettere sul significato di animalità. Se Pippo e Fofò rappresentano la regressione della specie umana, in un abbrutimento che si concretizza nell’usare violenza su una povera donna non sana di mente a fine di lucro; Giurlà da parte sua, vive un amore forte con Beba la capra-donna, che lo proietta in una condizione che squarcia, come per incanto, il mistero della propria natura. Proprio come precisa il critico letterario Salvatore Silvano Nigro nella prefazione al testo: “Beba è diversamente innocente, pur nella sua selvaggia rustichezza. E trova umano riscatto nella complementare Anita: la marchesina, che ha un suo amabile segreto femminile”. Difatti Giurlà imparerà a comprendere pulsioni e sentimenti, a lui prima estranei , che lo uniscono ad Anita. Come diceva il filosofo Blaise Pascal: “ Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce”. Infine concordo con il maestro Camilleri quando sostiene che: “il meglio di me risiede in questa trilogia fantastica”. Da leggere assolutamente.
Questa fiaba ci riporta a quelle atmosfere bucoliche e rurali di una Sicilia lontana nel tempo ma non nel ricordo dello scrittore. In alcuni passi Andrea Camilleri rievoca il verismo di Verga, così come la drammaturgia di Luigi Pirandello. Durante la lettura del presente racconto l’autore ci descrive paesaggi e situazioni servendosi, ancora una volta, del dialetto siciliano. La storia narra di un giovane capraio Giurlà a contatto con una realtà totalmente estranea a quella in cui era vissuto per la prima parte della sua vita, e a cui si adatterà rapidamente. Durante la sua esperienza da mandriano, svilupperà un rapporto affettivo intenso con una capra di nome Beba che al di là del proprio aspetto, zoologicamente determinato, ama e si fa desiderare proprio come una donna. Attraverso la lettura del poeta Lucrezio Giurlà apprende della metamorfosi della natura. Beba non è solamente una capra per Giurlà, ma l’amore della sua vita. Non riesce a stare lontano da lei, che domina persino i suoi sogni così come i suoi pensieri. Attraverso Beba Giurlà arriverà a compenetrare il mistero dell’amore che transiterà dalla capra ad Anita. Andrea Camilleri nei racconti al di fuori della saga del commissario Montalbano può permettersi di spaziare in lungo e in largo nel regno della fantasia. Il romanzo è avvincente, trascinante e coinvolgente, grazie anche alla solita verve linguistica. Il lieto fine sembra proprio omaggiare la favola di Jeanne Marie Leprince de Beaumont “la Bella e la Bestia”. “Il sonaglio” inoltre cerca di spingere il lettore a riflettere sul significato di animalità. Se Pippo e Fofò rappresentano la regressione della specie umana, in un abbrutimento che si concretizza nell’usare violenza su una povera donna non sana di mente a fine di lucro; Giurlà da parte sua, vive un amore forte con Beba la capra-donna, che lo proietta in una condizione che squarcia, come per incanto, il mistero della propria natura. Proprio come precisa il critico letterario Salvatore Silvano Nigro nella prefazione al testo: “Beba è diversamente innocente, pur nella sua selvaggia rustichezza. E trova umano riscatto nella complementare Anita: la marchesina, che ha un suo amabile segreto femminile”. Difatti Giurlà imparerà a comprendere pulsioni e sentimenti, a lui prima estranei , che lo uniscono ad Anita. Come diceva il filosofo Blaise Pascal: “ Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce”. Infine concordo con il maestro Camilleri quando sostiene che: “il meglio di me risiede in questa trilogia fantastica”. Da leggere assolutamente.
Cristian Porcino