martedì 26 gennaio 2010

Auschwitz, il dolore del ricordo!


“Arbeit macht frei” (Il lavoro rende liberi) mi accoglie all’ingresso del campo della morte comunemente noto come Auschwitz. Arrivato a Oswiecim, (Polonia) ero davvero deciso a vedere con i miei occhi l’orrore che uomini come me crearono. Appena varcata la soglia di quel portone, sentii la morte capeggiare su quel terreno dove l’odio pose il fiore, e dove l’uomo che non conobbe amore rimase a piangere il suo dolore. Più mi dirigevo a vedere i vari reparti del campo e più mi accorgevo di come il tempo non avesse mitigato e lenito ferite e sofferenze ad ogni essere umano. Insieme a me, un gruppo di ebrei che appena entrati invocarono un grazie ad Adonai per averli fatti scampare dall’inferno. Nei vari reparti, o meglio blocchi, vi sono testimonianze di quanto accadde: capelli tosati senza alcun pudore e rispetto ai detenuti, denti e protesi anatomiche gettate e accatastate dietro vetri, che separano l’oggi dal passato. Vecchie valigie con i nomi dei proprietari segnati col gessetto; bagagli che non vennero mai recapitati ai mittenti ma che furono prontamente svaligiati. E ancora foto e filmati che venivano proiettati in tutte le lingue per favorire la comprensione e la storia del luogo che ci ospitava .Ma non potrò mai dimenticare i forni crematori, che vidi soltanto dopo aver percorso un lungo e tetro corridoio, e dopo aver riflettuto momento per momento che non erano potute accadere veramente certe cose, non potevano essere esistiti individui simili a me capaci di uccidere senza pietà. Ho pensato in quel momento ai bambini che con gioia di false promesse avevano creduto di andare a fare una doccia e pochi istanti dopo sarebbero passati da un forno mezzi storditi e definitivamente uccisi. Qualche anno fa ebbi l’onore di conoscere Elisa Springer già autrice di un bellissimo libro intitolato”Il silenzio dei vivi” (attualmente in libreria con il seguito “L’eco dei vivi”). La Springer era una sopravvissuta del campo di concentramento di Auschwitz. Ci raccontò che quando arrivò la prima volta ad Auschwitz, era notte fonda e in lontananza, vide uscire dai camini un gran fumo. Tutti i detenuti pensavano che i tedeschi stessero bruciando vestiti vecchi e sporchi, ma mai nessuno di loro avrebbe potuto immaginare che quanto fumava da quei camini era ciò che rimaneva dei corpi di uomini, donne e bambini, che con un macabro rituale, facevano posto ai nuovi arrivati. La mattina dopo aver dormito nel fango insieme a molte persone fu chiamata per sottoporsi alla visita medica. Elisa che durante il tragitto aveva stretto amicizia con una tenera famigliola, assistette ad una scena che soltanto dopo avrebbe realmente compreso. Il medico schierò la famiglia in un gruppo e la Springer nell’altro. La Springer protestò e il dottore rispose: “Resta lì dove sei, domani mi ringrazierai”. Quella famiglia la mattina seguente non fece mai più ritorno al campo, né il dì successivo, né l’altro ancora, perché venne bruciata con tempestività nei forni crematori. A distanza di anni, Auschwitz è ancora lì, testimone assoluto che tutto accadde, tutto avvenne e tutto potrebbe un dì riaccadere; se l’uomo non dimenticasse e rimuovesse il passato, con grande e assurda facilità. E un uomo senza memoria, è un uomo morto. Anche se è passato qualche anno della mia visita ai campi di concentramento tedeschi e polacchi, non riesco a nascondere che la pace e la speranza sono dei beni preziosi, che soltanto dopo averli persi, rimpiangi davvero!
“Su tre cose si regge il mondo, sulla giustizia, sulla verità e sulla pace” Rabban Shimon Ben Gamliel


Cristian Porcino



Pubblicato sul mensile Giornale dell’ Etna (gennaio 2004)