
Riflesso perfetto di Mattia Surroz, pubblicato da Sergio Bonelli Editore — la casa editrice che ha dato vita a Dylan Dog, uno dei personaggi a fumetti che ho più amato — è una graphic novel che tocca corde scoperte e mi ha emozionato profondamente.
Da poco ho perso mio padre e chi ha vissuto la lacerante esperienza di accompagnare un proprio caro in una struttura per anziani sa bene cosa intendo. Alcune riflessioni presenti nel libro mi hanno riportato a quei giorni, a quei mesi sospesi, fatti di dolore silenzioso e senso di colpa.
Inoltre, come Enea, ho vissuto un’adolescenza privandomi della felicità sentimentale, punendomi. Nel mio libro Sulle tracce dell’altrove ho raccontato proprio di queste punizioni che mi sono autoimposto, di quel senso di colpa interiorizzato che per anni ha accompagnato me e molti altri. Una società omofoba riesce a isolarti lentamente, nel tempo, fino a convincerti che la rinuncia sia una forma di protezione. Per chi è stato a lungo emarginato dalla Storia, il rischio è sempre quello di fare la fine di Enea.
Surroz racconta anche qualcosa che raramente trova spazio nella narrazione: l’amore maturo. Spesso si parla di corpi giovani, sinuosi, erotici, pensati per stimolare le fantasie del lettore, ma quasi mai dell’amore che attraversa gli anni, che riguarda le persone adulte. Eppure, come cantava Franco Battiato, «i desideri non invecchiano quasi mai con l’età».
Enea e Giacomo si scoprono in gioventù e, a causa dei pregiudizi sociali, si perdono. Tuttavia restano saldamente ancorati l’uno nell’anima dell’altro. Come Enea, anch’io ho pensato che «la fantasia degli infelici ha confini più vasti di quella degli altri». Da ragazzino ero un Charlie Brown malinconico, capace di immaginare il futuro ma incapace di scorgerne davvero i confini.
Fortunatamente, con il passare degli anni, ho conosciuto la persona che amo. È stato lui a spalancare le finestre che tenevo chiuse e ad abbattere i muri che avevo eretto per proteggermi dalle delusioni. Grazie a lui, e a differenza di Enea, ho imparato a volermi bene davvero perché, citando ancora il caro Battiato, non possiamo pregare il tempo: «Se penso a come ho speso male il mio tempo / che non tornerà, non ritornerà più».
Ho scoperto questo libro grazie al mio ragazzo e, una volta terminato, mi è rimasto addosso. Serve una grande sensibilità per creare e raccontare una storia così toccante.
È bellissima l’immagine secondo cui ognuno di noi è un’isola e i sentimenti che proviamo diventano ponti. Quando ci innamoriamo, andiamo a vivere lì, proprio nel mezzo, e costruiamo un rifugio. Toni poetici accompagnano un connubio riuscitissimo di immagini meravigliose e impattanti.
Ci vuole coraggio a raccontare e pubblicare libri così intensi, in una società che vorrebbe nascondere chi non ama secondo il vangelo eteronormativo. Surroz narra tutto senza aggiungere né dipingere il superfluo: parla una scrittura serrata ed empatica, che lascia spazio al significato più profondo della parola Amore.
©️ Cristian A. Porcino Ferrara