martedì 1 dicembre 2009

“Bene Crudele. Cattivario di Carmelo Bene” di Antonio Attisani e Marco Dotti


“Bene Crudele” di Antonio Attisani e Marco Dotti per le edizioni Stampa Alternativa /Nuovi Equilibri raccoglie il meglio del pensiero di Carmelo Bene.
La drammaturgia di Carmelo Bene rappresenta in sé una fenomenologia filosofica degna di nota. Egli ha fatto di se stesso e della sua opera un cattivarlo letterario che ancora oggi ci risulta attuale. Bene era oltre il tempo, poiché la sua ferocia critica all’uomo contemporaneo era un atto d’amore verso la sua stessa essenza. Nel suo ricordare Vittorio Gassman molti notarono del cinismo, mentre egli era scientemente cosciente di ciò che caratterizzava la scomparsa, per antonomasia, dell’ attore. Bene morirà due anni dopo Gassman e quando affermava che Vittorio era già deceduto vent’anni prima, quando la vecchiaia incalzò la sua vita gettandolo in depressione, Carmelo dichiarava al mondo il suo totale rifiuto per una esistenza che ti punisce rendendoti uno spettro, ed un morto consapevole di morire e quindi un già morto. Fu accusato di essere un “tuttologo di cazzate” e molti colleghi attori dissero che era un retore avvincente. Ma quando egli morì furono tutti supinamente prostrati a lodare il suo genio incompreso. Bene non recitava solamente, o come avrebbe detto lui non citava le cose d’altri ma li rendeva qualcosa d’altro rispetto alla scrittura portata in scena. Lo spettacolo di Pinocchio è una parabola sull’ imbarbarimento della giovane prole; attraverso la trasmissione di contenuti vuoti appartenenti a un non sapere che li renderà schiavi. In effetti i suoi Otello e Amleto erano opere di Bene piuttosto che di Shakespeare, ma questo era il suo punto di forza; una sorta di rito apotropaico che scongiurava la reiterazione del già visto e del già sentito. Egli in quanto non-attore, poteva scrivere in scena il testo. Il suo atto di accusa alla retorica del linguaggio ha caratterizzato la sua produzione attoriale e artistica. Personaggio estremo così come le sue opere, ha segnato la storia di quel novecento tanto odiato. Bene non amava molto il pensiero morto e sepolto in testi che erano già tali nel momento della loro scrittura. Desiderava ardentemente rendere meno zombie il pubblico che invece si recava a teatro non per vederlo, ma per criticarlo non avendolo capito. Allora lui si chiedeva come si poteva recensire qualcosa che non si era capito perché, in verità, non doveva essere compreso ma fruito. Era la trappola in cui cadevano moltissimi critici teatrali. “La gente si aspetta quello che sa, per essere tranquillizzata e alla fine applaude, per pietà, la rimozione dalla propria miseria di essere lì ad apprendere una novità che già conosce, senza abbandono, senza niente”. Infine grazie all’opera certosina di Antonio Attisani e Marco Dotti è stato possibile ricostruire parte del flusso inarrestabile del logos di Carmelo Bene. In definitiva un libro da leggere assolutamente.


Cristian Porcino