mercoledì 17 dicembre 2025

Indicazioni inutili per andare altrove

 


Sulle tracce dell’altrove è un libro che non accompagna: trascina. Cristian A. Porcino Ferrara scrive come chi ha già perso l’orientamento e, proprio per questo, sa indicare le direzioni sbagliate con una precisione imbarazzante. L’altrove non è una meta esotica, ma una postura mentale: si cammina storti, si pensa obliqui, si vive controvento. La prosa, nervosa e sensuale, alterna fendenti lucidi a improvvise carezze filosofiche, come se il pensiero fosse un corpo che non chiede permesso. Qui l’identità non si cerca: si scortica. Libro insofferente alle certezze, elegante nella sua impertinenza, Sulle tracce dell’altrove è una piccola educazione allo smarrimento — che, in tempi di mappe urlate, resta l’unico vero atto di libertà. Un libro quindi per lettori indisponibili, orgogliosamente scomodi, felicemente fuori posto.

Il libro è in vendita su Amazon

lunedì 15 dicembre 2025

Riflesso perfetto. Contro il silenzio imposto: l’amore come atto di verità

 


Riflesso perfetto di Mattia Surroz, pubblicato da Sergio Bonelli Editore — la casa editrice che ha dato vita a Dylan Dog, uno dei personaggi a fumetti che ho più amato — è una graphic novel che tocca corde scoperte e mi ha emozionato profondamente.
Da poco ho perso mio padre e chi ha vissuto la lacerante esperienza di accompagnare un proprio caro in una struttura per anziani sa bene cosa intendo. Alcune riflessioni presenti nel libro mi hanno riportato a quei giorni, a quei mesi sospesi, fatti di dolore silenzioso e senso di colpa.
Inoltre, come Enea, ho vissuto un’adolescenza privandomi della felicità sentimentale, punendomi. Nel mio libro Sulle tracce dell’altrove ho raccontato proprio di queste punizioni che mi sono autoimposto, di quel senso di colpa interiorizzato che per anni ha accompagnato me e molti altri. Una società omofoba riesce a isolarti lentamente, nel tempo, fino a convincerti che la rinuncia sia una forma di protezione. Per chi è stato a lungo emarginato dalla Storia, il rischio è sempre quello di fare la fine di Enea.
Surroz racconta anche qualcosa che raramente trova spazio nella narrazione: l’amore maturo. Spesso si parla di corpi giovani, sinuosi, erotici, pensati per stimolare le fantasie del lettore, ma quasi mai dell’amore che attraversa gli anni, che riguarda le persone adulte. Eppure, come cantava Franco Battiato, «i desideri non invecchiano quasi mai con l’età».
Enea e Giacomo si scoprono in gioventù e, a causa dei pregiudizi sociali, si perdono. Tuttavia restano saldamente ancorati l’uno nell’anima dell’altro. Come Enea, anch’io ho pensato che «la fantasia degli infelici ha confini più vasti di quella degli altri». Da ragazzino ero un Charlie Brown malinconico, capace di immaginare il futuro ma incapace di scorgerne davvero i confini.
Fortunatamente, con il passare degli anni, ho conosciuto la persona che amo. È stato lui a spalancare le finestre che tenevo chiuse e ad abbattere i muri che avevo eretto per proteggermi dalle delusioni. Grazie a lui, e a differenza di Enea, ho imparato a volermi bene davvero perché, citando ancora il caro Battiato, non possiamo pregare il tempo: «Se penso a come ho speso male il mio tempo / che non tornerà, non ritornerà più».
Ho scoperto questo libro grazie al mio ragazzo e, una volta terminato, mi è rimasto addosso. Serve una grande sensibilità per creare e raccontare una storia così toccante.
È bellissima l’immagine secondo cui ognuno di noi è un’isola e i sentimenti che proviamo diventano ponti. Quando ci innamoriamo, andiamo a vivere lì, proprio nel mezzo, e costruiamo un rifugio. Toni poetici accompagnano un connubio riuscitissimo di immagini meravigliose e impattanti.
Ci vuole coraggio a raccontare e pubblicare libri così intensi, in una società che vorrebbe nascondere chi non ama secondo il vangelo eteronormativo. Surroz narra tutto senza aggiungere né dipingere il superfluo: parla una scrittura serrata ed empatica, che lascia spazio al significato più profondo della parola Amore.

©️ Cristian A. Porcino Ferrara

martedì 2 dicembre 2025

"Vite straordinarie. Brevi storie di uomini e donne che hanno cambiato il mondo" di Canova e Mingardi

 


("Vite straordinarie. Brevi storie di uomini e donne che hanno cambiato il mondo", a cura di Gianni Canova e Alberto Mingardi, Carocci Editore, pp. 175, € 19,00)

Vite straordinarie. Brevi storie di uomini e donne che hanno cambiato il mondo, a cura di Gianni Canova e Alberto Mingardi per Carocci Editore, nasce dall’idea – dichiarata con chiarezza nella prefazione – che siano gli individui, talvolta, a imprimere una svolta decisiva alla storia. Pur riconoscendo il peso dei grandi fenomeni collettivi che riguardano milioni di persone, il volume sceglie di concentrarsi su quei casi in cui il singolo riesce davvero a fare la differenza. I curatori definiscono il libro come una raccolta di “ritratti, di lezioni su innovatori e innovatrici”, e l’intero progetto si sviluppa proprio da questa convinzione: per comprendere un’opera, un’azione o un’eredità culturale, bisogna conoscere la persona che l’ha generata. Ispirato alle lezioni del secondo corso Fondamenta, promosso dall’Università IULM, il libro  propone una serie di contributi che intrecciano dimensione storica e profilo umano. Le vicende di figure come Cicerone, Giovanna d’Arco, Walt Disney, Rita Levi Montalcini, Martin Lutero e molti altri vengono raccontate non solo attraverso le loro imprese, ma anche mettendo in luce incertezze, intuizioni e incontri che ne hanno segnato il percorso. A fare da filo conduttore è l’idea – cara anche a John Lennon – che “la vita è l’arte degli incontri”: molte delle storie raccolte mostrano come un momento di svolta personale possa trasformare non solo un destino individuale, ma talvolta l’intero corso degli eventi. Uno degli aspetti più riusciti del volume è la capacità degli autori, tutti esperti riconosciuti, di rendere accessibili e coinvolgenti queste vite eccezionali, senza scadere nella mitizzazione. Al contrario, emerge una galleria di personalità complesse, con luci e ombre, passioni e contraddizioni, che proprio per questo risultano autenticamente ispiratrici. L’intento non è soltanto informativo: il libro invita a riflettere su quanto le idee e le iniziative di alcuni individui abbiano influito – e continuino a influire – sulla nostra vita quotidiana, in ambiti che spaziano dalla religione alla scienza, dalla politica al teatro, dal cinema alla cultura popolare.

In definitiva un libro che non solo racconta storie esemplari, ma mostra quanto ogni cammino straordinario sia, prima di tutto, il percorso di un essere umano alle prese con le proprie possibilità.

© Cristian A. Porcino Ferrara


martedì 18 novembre 2025

Dalla Scuola Siciliana a Amuri Luci di Carmen Consoli: un viaggio nella lingua che racconta la Sicilia

 


(ARS Istruzione Misterbianco) 
Un progetto interdisciplinare tra Storia, Civica, Letteratura, Geografia e Pari Opportunità

C’è un filo sottile, luminoso, che collega la Sicilia del XIII secolo ai suoni contemporanei della musica italiana. Un filo fatto di parole, di dialetti, di storia e di poesia. È lungo questo filo che si sviluppa il progetto educativo che ho portato in classe: un viaggio attraverso le radici della lingua siciliana, dalla Scuola siciliana medievale all’album Amuri Luci di Carmen Consoli. Un percorso che ha coinvolto discipline diverse — Storia, Letteratura, Geografia e Pari Opportunità — per raccontare agli studenti non solo una lingua, ma un’identità. Tutto parte alla corte di Federico II di Svevia, tra il 1230 e il 1266, dove nasce la prima scuola poetica italiana: la Scuola siciliana. Una poesia raffinata, cortese, innovativa. Così innovativa che Dante la riconoscerà come fondamento della tradizione italiana. È qui che il dialetto, per la prima volta nella storia letteraria della penisola, diventa lingua di poesia colta. Per rendere il percorso più vicino agli studenti, ho portato in classe l’ultimo album di Carmen Consoli, Amuri Luci, un’opera che restituisce al siciliano tutta la sua potenza sonora, emotiva e culturale.

Ogni brano è una finestra su epoche diverse: - Qual sete voi? si collega alla poesia medievale di Nina da Messina. - Mamma tedesca e Parru cu tia dialogano con le parole del poeta Ignazio Buttitta. - La terra di Hamdis (cantata in coppia con Mahmood) mette in scena l’esilio del poeta arabo-siciliano Ibn Hamdis.

Altri brani intrecciano latino, greco, mito e memoria moderna. L’album diventa così un laboratorio linguistico, storico e poetico. Durante il progetto è emerso un aspetto che merita attenzione: i pregiudizi ancora oggi diffusi sul dialetto siciliano. Un’allieva, con molta sincerità, mi ha detto: > “Io il siciliano non lo parlo. I miei genitori me lo vietano.” Un’affermazione che racconta un fenomeno silenzioso ma diffuso: l’idea che il dialetto sia sinonimo di poca istruzione, scadente qualità linguistica, arretratezza. Un’idea che affonda le sue radici in decenni di stigmatizzazione culturale. Eppure, la storia ci dice l’esatto contrario: il siciliano è la prima lingua poetica d’Italia, lingua colta, lingua d’arte, lingua che ha influenzato Dante.

Recuperare questa consapevolezza significa contrastare questi pregiudizi e restituire al dialetto la dignità che merita. Per molti studenti, questo percorso è stato la prima occasione per vedere la propria lingua familiare trattata con rispetto, competenza e valore culturale. Il lavoro in classe ha intrecciato: ( Letteratura) Dalla lirica cortese medievale ai poeti arabo-siciliani, fino a Buttitta e alle poetesse del Novecento. ( Storia ed educazione civica) Sicilia come terra di dominazioni e scambi: le culture che l’hanno attraversata rivivono nelle canzoni. (Geografia) La posizione della Sicilia nel Mediterraneo spiega la ricchezza linguistica dell’isola: rotte, incontri, migrazioni. (Pari Opportunità) Valorizzazione delle voci femminili escluse dalla tradizione ufficiale (Nina da Messina, Graziosa Casella) e riconoscimento del dialetto come forma legittima di identità culturale.

Questo progetto mostra agli studenti che le lingue non sono tutte uguali nella percezione sociale, ma lo sono nel loro valore culturale ed espressivo.
Capire che il siciliano — e qualunque dialetto — non è “scadente”, ma profondamente ricco, significa aprire la strada a una nuova consapevolezza:
la diversità linguistica è una ricchezza, non un limite.
In definitiva un viaggio che restituisce al siciliano la sua dignità storica e poetica, unendo passato e presente, identità e musica, cultura e consapevolezza.

©️ Cristian A. Porcino Ferrara

giovedì 13 novembre 2025

Perché rinnovare la carta d’identità se la mia identità non cambia?

 


Sono assolutamente favorevole allo stop al rinnovo della carta d’identità per gli over 70. È una misura di buon senso: evita burocrazia inutile e riconosce che, a una certa età, la persona resta ben riconoscibile anche senza aggiornare un documento ogni dieci anni.
Ma allora mi chiedo: perché limitarla solo a chi ha superato una soglia anagrafica?
La mia identità resta la stessa, a meno che non decida io stesso di modificarla — nel nome, nel genere, o in altri elementi che fanno parte della mia autodeterminazione. Ma in assenza di cambiamenti volontari, perché lo Stato mi obbliga a riaffermare, a intervalli regolari, che sono ancora io?
La carta d’identità non è una patente. Non certifica abilità o requisiti soggetti a variazioni nel tempo, ma un fatto stabile: chi sono.
E se la mia identità anagrafica non cambia, il rinnovo non ha senso. È una formalità che serve più al sistema che al cittadino, più alla macchina amministrativa che alla realtà.
Abolire del tutto il rinnovo — mantenendo, certo, la possibilità di aggiornarla su richiesta o in caso di variazioni effettive — sarebbe un passo verso una burocrazia più intelligente, più digitale e più rispettosa del principio di identità personale.
In fondo, io sono io fin dalla nascita: non serve un timbro nuovo ogni dieci anni per ricordarlo.

©️ Cristian A. Porcino Ferrara

lunedì 10 novembre 2025

Curatevi Voi

 


Dopo l’ultima puntata de Le Iene andata in onda ieri sera su Italia 1, con l’inchiesta sul dramma dell’omofobia in Italia, sento il bisogno di rispondere ad alcune affermazioni vergognose pronunciate da diversi sacerdoti cattolici. Un inviato della trasmissione ha finto di confessarsi da alcuni preti dichiarando la propria omosessualità. Le risposte? Un campionario di ignoranza e pregiudizio:

“Dovete farvi curare.” “Andate da un dottore a farvi fare esami del sangue e degli ormoni.” “È come scoprire una malattia grave.” “Il matrimonio gay è una degenerazione.”

Bene, allora diciamolo chiaramente: curatevi voi. Curatevi voi dalla repressione sessuale che, invece di generare amore e rispetto, ha prodotto mostri e tragedie. Curatevi voi da quella patologia morale che porta troppi ministri della vostra istituzione ad abusare di minori indifesi mentre predicate la “famiglia tradizionale” dalla sacrestia. Curatevi voi da quell’omofobia tossica e interiorizzata che vi impedisce di guardare negli occhi chi vive alla luce del sole ciò che voi non avete mai avuto il coraggio di vivere nemmeno al buio. Curatevi voi da quell’oscurantismo che da secoli sparge dolore, vergogna e sensi di colpa invece che compassione e umanità. Siete voi a dover guarire dal rancore e dalla frustrazione per aver perso il potere sociale che un tempo vi garantiva immunità morale. Oggi, semplicemente, non vi ascolta più nessuno. Continuate pure su questa linea: non solo non fermerete l’emorragia di fedeli già in corso… ma ne decreterete il funerale. Mentre molte chiese protestanti evolvono, includono, riflettono e accolgono, voi restate inchiodati a tesi antiscientifiche e deleterie che smentiscono perfino il Vangelo che dite di rappresentare. Grazie a Le Iene e a Nina Palmieri per aver tolto la maschera all’ipocrisia cattolica di certi “generali della morale” che diventano omofobi a comando, solo per convenienza e per marketing ecclesiastico.
©️ Cristian A. Porcino Ferrara

sabato 8 novembre 2025

“Frankenstein: Del Toro non supera Branagh (né Shelley)”

 


Chi si entusiasma con facilità di fronte al Frankenstein di Guillermo Del Toro probabilmente non ha mai letto il romanzo di Mary Shelley (1818) né visto l’adattamento di Kenneth Branagh del 1994. Il film di Branagh resta, a mio avviso, la trasposizione più fedele e capace di restituire la potenza immaginifica e tematica dell’opera originale. Il regista-attore dosa ogni ingrediente con equilibrio: è un film dinamico, evocativo e sorprendentemente moderno nella messa in scena. Branagh è credibile nei panni di Victor Frankenstein e la Creatura interpretata da Robert De Niro lascia un segno profondo; la partitura musicale di Patrick Doyle impreziosisce ogni sequenza, amplificandone l’intensità emotiva.



Il Frankenstein di Del Toro, al contrario, sembra sfiorare soltanto la complessità semantica tracciata da Shelley: dall’interrogativo teologico a quello filosofico, dal rapporto con la scienza alla riflessione sui limiti dell’etica medica. La messa in scena è elegante e gli attori sono di grande livello — Jacob Elordi e Oscar Isaac in particolare — ma qualcosa non convince. La distanza dal romanzo è così marcata da farne più un’opera “liberamente ispirata” che una rilettura, e questa scelta, per me, ne attenua l’impatto.


Detesto i paragoni fini a sé stessi e non mi aspettavo certo l’erede di Boris Karloff; tuttavia, se si decide di riportare sullo schermo un mito cinematografico e letterario come Frankenstein, bisognerebbe avvertire l’urgenza di aggiungere un tassello, un nuovo sguardo, un elemento che mancava. Qui, purtroppo, non percepisco un reale contributo rispetto ai precedenti: alcuni spunti ci sono, ma restano accennati e non sviluppati.
Permangono immagini potenti e momenti suggestivi, ma non abbastanza — per me — da desiderare una seconda visione a breve. In definitiva: troppa estetica, poca elettricità. Un Frankenstein che non prende vita.

©️ Cristian A. Porcino Ferrara