giovedì 23 ottobre 2025

Il Concilio II, la luce e le catene

 


Nella giornata di ieri, durante una lezione di Storia, ho parlato alle mie allieve del Concilio Vaticano II. Mentre ne illustravo il significato storico, mi hanno rivolto domande che mi hanno profondamente colpito:
«Come può un evento religioso riguardare tutti?»
«In che modo il cattolicesimo influenza ancora oggi la vita dei laici?»
Domande sincere, disarmanti, che mi hanno spinto a guardarmi dentro.
Ricordo che, da ragazzo, leggevo con fervore ogni documento ufficiale del Papa. Non so bene perché lo facessi; forse, in quelle parole solenni, cercavo una legittimazione alla mia esistenza. Chi ha letto il mio libro Sulle tracce dell’altrove conosce quella mia antica inquietudine: un bisogno di approvazione che non trovava mai risposta.
Crescere, per me, ha significato liberarmi da un senso di colpa che la religione aveva inciso in profondità. Non è stato facile, ma alla fine ci sono riuscito.
Come il prigioniero del mito di Platone, ho visto la luce e ho spezzato le catene.
In quel chiarore, ho intravisto uno spiraglio nelle parole di Papa Francesco – un’eco di universalità simile a quella della Pacem in terris di Giovanni XXIII. In quei rari momenti, la voce della Chiesa sembrava rivolgersi a ogni essere umano, non solo ai credenti. Ho sempre desiderato che un pontefice spezzasse le catene della propria “caverna” fatta di dogmi e divieti, dirigendosi con coraggio verso la luce. Ma so che è, e probabilmente resterà, un’utopia.
La Chiesa dice di voler parlare all’umanità di oggi, ma resta ferma nelle sue posizioni, spesso sconfessate dalla razionalità e dallo spirito scientifico. I suoi portavoce promettono di aggiornarsi, di rompere con la tradizione millenaria che la contraddistingue; in realtà, però, compiono solo piccoli e timidi passi.
La Chiesa non accetta il cambiamento e preferisce restare ai margini della società, senza incidere veramente.
E così la società cambia, evolve, e costringe il Vaticano ad adeguarsi a un contesto che ormai lo rigetta perché percepito come fuori tempo.
Da filosofo e da non credente, continuo a percepire l’invadenza della religione nella vita quotidiana. Ogni volta che la fede tenta di imporsi come regola comune, sento il dovere di alzare le barricate — non per ribellione sterile, ma per difendere la libertà di ciascuno. Nessuno dovrebbe vivere schiacciato da un credo che pretende di definire la misura dell’esistenza.
Il Concilio II si proponeva di parlare a tutti, ma oggi la Chiesa, a differenza del protestantesimo, sembra rivolgersi esclusivamente ai fedeli, ignorando l’emorragia di cattolici in tutto il mondo.
Forse, come sosteneva Nietzsche, «le persone non accettano la verità perché non vogliono che la loro illusione venga distrutta».

©️ Cristian A. Porcino Ferrara

lunedì 20 ottobre 2025

Quando la gente non capisce, fabbrica scaffali!


 

Pier Paolo Pasolini diceva: “Quando la gente non capisce, fabbrica scaffali.
E in effetti, aveva ragione.
Capire è un esercizio faticoso. Richiede ascolto, empatia, tempo — e soprattutto la disponibilità a mettere in discussione sé stessi.
Giudicare, invece, è un gesto istintivo, quasi consolatorio: non richiede alcuna fatica e, sui social, “rende” anche di più.
Viviamo in un’epoca in cui l’opinione è diventata moneta di scambio e il pensiero critico un lusso per pochi. Si reagisce, si etichetta, si scomunica: tutto in nome di un’inconsapevole ansia di appartenenza.
Vai a spiegare, allora, ai professionisti del nulla — i de-pensanti di mestiere — che il “Gender” e la “cultura Woke” non esistono come spauracchi ideologici, ma come caricature costruite per alimentare paura e clic.
Heidegger diceva: “Il nulla nulleggia.
E oggi quel nulla prende forma nel linguaggio dell’odio, somministrato quotidianamente sotto forma di pregiudizio, sarcasmo e violenza verbale.
Un nulla che parla tanto, ma non dice nulla.



E intanto, uccide la possibilità stessa di capire. Ben diceva Umberto Eco quando sosteneva: "Avere un nemico è cruciale per definire l'identità di un gruppo, misurare il proprio sistema di valori, dimostrare il proprio valore nell'affrontarlo e rafforzare la coesione sociale. Quando un nemico reale manca, viene costruito per soddisfare questa esigenza".
E così, mentre siamo impegnati a costruire il nemico, gli scaffali si riempiono, uccidendo la possibilità stessa di capire.

©️ Cristian A. Porcino Ferrara

sabato 18 ottobre 2025

Vietare l’educazione sessuo-affettiva è un fallimento della scuola

 


Vietare per legge l’educazione sessuo-affettiva nelle scuole medie rappresenta un fallimento profondo del nostro sistema educativo. È quanto prevede il recente decreto discusso in Parlamento: una scelta che rinuncia al compito più alto della scuola — formare cittadini consapevoli, capaci di comprendere sé stessi e gli altri.
Non è la sessualità in sé a spaventare, ma la possibilità che le nuove generazioni crescano più libere, consapevoli e felici di quanto non siano stati gli adulti che oggi le educano e le governano. Perché adulti sereni e autonomi difficilmente si lasciano manipolare da chi alimenta paura e semplificazioni.
Da insegnanti, vediamo ogni giorno il disorientamento dei ragazzi, immersi in un mondo ipersessualizzato che offre immagini e modelli senza contesto. I loro corpi cambiano, ma mancano le parole per capirli. Non sanno ancora chi sono, e faticano a distinguere ciò che desiderano da ciò che il mondo adulto si aspetta da loro.
L’educazione sessuo-affettiva non mira a spiegare il Kamasutra, ma a fornire un linguaggio e un contesto per comprendere la realtà emotiva e corporea che accompagna la crescita. Come ricorda lo psicologo Alberto Pellai, “non parlare di affettività e sessualità non significa proteggerli, ma lasciarli soli” in una società che li espone precocemente a messaggi distorti.
La psicoterapeuta Stefania Andreoli aggiunge che questo tipo di educazione non mina i valori familiari, ma li sostiene, perché “la conoscenza di sé è la base della libertà e della responsabilità”.
Negare questo spazio di riflessione spinge gli adolescenti verso internet e la pornografia online, con conseguenze profonde sulla percezione di sé e dell’altro. Ma il danno più grave è simbolico: rinunciare a parlare significa rinunciare a pensare. Come ricorda Umberto Galimberti, “vietare di pensare o di parlare di ciò che è naturale significa negare la possibilità stessa di un’etica”, perché l’etica nasce dal confronto consapevole con la nostra dimensione corporea e affettiva.
Sottrarre ai ragazzi l’opportunità di nominare ciò che vivono equivale a condannarli al silenzio, e il silenzio genera vergogna, paura, dipendenza da chi promette risposte facili. Se la scuola italiana avesse investito, con la stessa convinzione riservata all’insegnamento della religione, in un’educazione all’affettività e alla sessualità, oggi forse avremmo cittadini più empatici e meno soli.
L’educazione sessuo-affettiva non è un pericolo: è un atto di fiducia. Nella libertà, nel pensiero critico, e nella possibilità che i nostri ragazzi diventino adulti migliori di noi.

©️ Cristian A. Porcino Ferrara

giovedì 16 ottobre 2025

L’amore rimosso – Parte III: i cartoni animati

 




La mia generazione è cresciuta dentro un’educazione sentimentale che ci ha insegnato il valore dell'invisibilità.
Candy Candy amava Terence, Lady Oscar amava André, Braccio di Ferro amava Olivia, Mirko e Licia, He-Man e Teela.
Ovunque lo stesso copione: un lui, una lei, un destino da compiere.
L’amore, quello vero, non aveva alternative.
Noi, non esistevamo nemmeno come possibilità dell’immaginazione.
Non serviva la censura esplicita: bastava l’assenza.
La fantasia, che avrebbe dovuto essere il luogo del possibile, è diventata il recinto dell’ovvio.


Nel mondo colorato dei cartoni, l’eterosessualità è stata travestita da norma.
Tutto il resto, semplicemente, non era raffigurabile, quindi rappresentabile.
E quando qualcosa di diverso si affacciava, veniva subito corretto, tradotto, addomesticato.
Sailor Uranus e Sailor Neptune, due donne che si amavano, divennero “cugine” nella versione italiana. Per non parlare di episodi di Lady Oscar censurati per non suscitare domande.
La tenerezza trasformata in parentela, l’amore in legame di sangue: un’operazione chirurgica dell’anima.
Così la purezza del bambino non veniva “contaminata”, e noi continuavamo a crescere senza sapere che anche il nostro modo d’amare poteva avere diritto di parola.
Ma il bambino impara presto.
Capisce che per essere accettato deve amare come gli viene mostrato. Non sono previste deviazioni dalla tabella di marcia. Un bambino capisce che il bacio tra due uomini o due donne non è per lui, che appartiene a un linguaggio proibito. Un sentiero da non percorrere per non essere respinto.
E quando la fantasia stessa ti esclude, la realtà diventa ancora più dura.
Non è solo una questione di rappresentazione: è una questione di esistenza.
Perché l’immaginario forma la tua persona.
Ciò che non è raccontato, lentamente smette di essere pensabile.
E se non sei pensabile, sei colpevole, forse, di esistere.


Bisognerebbe aprire una riflessione su He-Man che rappresentava una figura eroica dei cartoni animati così intrisa di estetica queer da sfiorare la caricatura della mascolinità stessa. Adam era l’emblema di un machismo esibito, truzzo fino al midollo che definiva l’uomo come colui che deve dominare e imporsi.
Oggi fortunatamente qualcuno prova a spezzare quella continuità.
Nei nuovi cartoni appaiono gesti diversi: una principessa che ama un’altra principessa (She-Ra and the Princesses of Power), due gemme che si uniscono in un abbraccio amoroso (Steven Universe), un giovane che non deve salvare una donna per legittimarsi come eroe (Strange World).
Segnali fragili, ma importanti.
Eppure, ogni volta che l’amore queer si affaccia sullo schermo, scatta la difesa morale, la paura, la parola che sentiamo da sempre: “ideologia”.
Come se il nostro amore fosse un’invenzione e non una presenza antica quanto il mondo.
Come se la cosiddetta normalità potesse essere difesa solo attraverso la rimozione.
Se si parla di ideologia, non è chiaro perché non debba applicarsi a un ragionamento di tipo generale. Siamo nati e cresciuti in contesti familiari tradizionali, ma ciò non ha determinato il nostro orientamento sessuale. Questo dimostra che le influenze ideologiche esterne non sono determinanti, eppure la nostra attuale cultura tende a eludere la realtà dei fatti per concentrarsi su falsità e narrative distorte.
Io credo che la vera ideologia sia l’eteronormatività travestita da innocenza infantile.
Quel meccanismo per cui tutto ciò che non rientra nel copione del principe e della principessa viene dichiarato nocivo.
Come se la purezza dei bambini consistesse nell’ignorare la complessità dell’amore.
Ma i bambini sanno.
Sanno riconoscere la dolcezza, la paura, il sentimento, anche se non hanno ancora le parole per dirlo.
È il mondo adulto che censura, non per proteggerli, ma per proteggere se stesso dalla verità:
che l’amore non ha sinonimi.
E allora sì, anche nei cartoni animati la rimozione è una forma di violenza silenziosa.
Non ci uccide, ma ci cancella.
Ci lascia vivi, ma senza specchio.


L’infanzia, quella vera, dovrebbe essere il luogo del possibile.
E invece, per molti di noi, è stata solo la prima lezione di invisibilità. L’amore rimosso non è solo assenza di rappresentazione: è memoria interrotta.
Ogni bacio censurato, ogni relazione taciuta, è una ferita nel modo in cui impariamo ad amare.
Eppure, da quelle assenze nasce la nostra voce.
Noi, i rimossi, i dimenticati, gli invisibili dei cartoni, abbiamo imparato a leggere anche nel silenzio: a trovare negli sguardi, nei gesti sospesi, nelle ombre dei personaggi, un frammento di verità.
Forse la nostra infanzia è stata rubata, ma la nostra lettura del mondo — proprio perché ferita — è diventata più profonda.
E in fondo, ogni volta che un bambino oggi guarda due personaggi dello stesso sesso amarsi, senza che nessuno glielo proibisca, un piccolo pezzo di quella storia rimossa si ricompone.
Un gesto minuscolo, ma rivoluzionario.
Perché l’amore, quando smette di nascondersi, torna finalmente a essere ciò che è sempre stato: umano.

©️ Cristian A. Porcino Ferrara

venerdì 10 ottobre 2025

L’amore rimosso – Parte II. La letteratura eteronormativa e le sue omissioni

 


C’è qualcosa di profondamente allarmante nel modo in cui la scuola continua a raccontarci la letteratura.
Ogni autore sembra avere la sua “bella morosa” cui dedicare versi e tormenti, come se la sensibilità poetica potesse nascere solo dall’amore per una donna. La norma si traveste da tradizione e la tradizione da verità. Ma se sei maschio e i tuoi sentimenti o desideri non seguono la direzione prevista, sembri fuori dal racconto — e dunque fuori dal mondo.
Nei manuali tutto scorre liscio, rassicurante, come se la storia delle lettere fosse un lungo elogio dell’eterosessualità. Si studiano i poeti innamorati di figure femminili idealizzate, mentre i legami che non rientrano in quella narrazione vengono archiviati nel silenzio. Così accade per Leopardi: si parla della sua delusione per Fanny Targioni Tozzetti, ma non del rapporto profondo e autentico con Antonio Ranieri.



La scuola trasmette la metà di una verità e la spaccia per intera.
E non è solo Leopardi. Nei manuali, l’unico autore italiano dichiaratamente omosessuale sembra essere Pasolini, come se il suo coraggio avesse esaurito da solo l’intera questione. Ma la realtà letteraria è molto più complessa e ricca. Umberto Saba, per esempio, affida al romanzo postumo Ernesto la confessione di un desiderio che per tutta la vita ha dovuto tacere: il rapporto tra il giovane protagonista e un uomo più grande diventa un momento di rivelazione e di conflitto, tenero e doloroso insieme.




Anche Giorgio Bassani, ne Gli occhiali d’oro, racconta con grande finezza la solitudine di un medico omosessuale nella Ferrara fascista, emblema di un’umanità esclusa e perseguitata.
E poi c’è Aldo Busi, autore di un capolavoro assoluto come Seminario sulla gioventù: un romanzo di formazione audace, ironico, scritto divinamente, che affronta il tema dell’identità e dell’accettazione di sé con una lucidità che la scuola continua a ignorare. Eppure un testo come questo, se proposto agli studenti, aiuterebbe a comprendere che la letteratura non serve a confermare le norme, ma a metterle in discussione.
Sono storie e voci che la scuola raramente nomina, come se non fossero parte della nostra identità culturale. E invece lo sono, eccome: fanno parte di quella verità intera che abbiamo smesso di raccontare.
Questo silenzio non è casuale: è una strategia culturale. È il modo con cui si stabilisce che solo un certo tipo di amore è degno di parola, di memoria, di storia. Tutto il resto — i corpi, i desideri, le differenze — viene espulso come un errore. La letteratura diventa così un meccanismo di esclusione, non di conoscenza.
Michela Murgia, in un’intervista che non smetto di citare, ricordava che chi non vive la discriminazione spesso non ne comprende la necessità di superarla. Chi detiene il privilegio si convince che il mondo che vede sia l’unico possibile, e quando gli si mostra la marginalizzazione altrui, risponde che “si esagera”. Ma negare l’esperienza dell’altro è il modo più efficace per continuare a esercitare quel privilegio.
Nel mio libro Sulle tracce dell’altrove ho cercato di raccontare proprio questo: il disagio silenzioso di chi cresce tra i banchi di scuola senza mai trovare una storia che gli assomigli.
Quando la realtà omosessuale viene ignorata, non è solo una dimenticanza: è un messaggio implicito. È come dire “tu non esisti”, oppure peggio, “non devi esistere”. E allora l’aula, che dovrebbe essere un luogo di conoscenza e di libertà, diventa un laboratorio di conformismo.
Forse dovremmo domandarci non solo quali storie scegliamo di raccontare, ma perché continuiamo a raccontarne sempre le stesse.
L’amore — ogni forma d’amore — è materia universale, eppure la sua rappresentazione resta sorvegliata, normalizzata, selettiva.
E mentre si discute di educazione affettiva e di parità di genere nelle scuole, nessuno mette in discussione i manuali che perpetuano un’unica idea di desiderio.



Il punto non è “aggiungere autori gay” come si aggiunge una nota a piè di pagina. Il punto è riscrivere la narrazione stessa, liberarla dai filtri morali che ancora oggi la ingabbiano.
Riconoscere l’amore omosessuale non è una concessione né un atto politico: è restituire alla letteratura la sua interezza, la sua verità.
Perché la scuola non dovrebbe operare censure e discriminazioni, ma il diritto — e il coraggio — di amare.

©️ Cristian A. Porcino Ferrara








sabato 4 ottobre 2025

Condivisione, non competizione

 



Mentre passeggiavo a Marzamemi mi ha profondamente colpito una scritta che diceva: «Non mi piace la competizione, preferisco la condivisione». In quanto insegnante, non ho mai sopportato l’idea della competizione così radicata nei nostri sistemi scolastici.
Ogni allievo è unico e merita di essere accompagnato nella scoperta dei propri talenti, senza la spada di Damocle che incombe sulle loro teste a causa di una competizione spesso inutile e deleteria. Alexander Neill, fondatore della scuola di Summerhill, ci ricorda che «l’istruzione deve adattarsi al ragazzo, non il ragazzo all’istruzione». In questo senso, la libertà di crescere rispettando i propri tempi e inclinazioni è molto più preziosa di qualsiasi confronto basato sul rendimento.
Anche Daniel Goleman sottolinea l’importanza di un approccio che vada oltre il quoziente intellettivo, valorizzando le competenze emotive e relazionali. Come sostiene nei suoi studi sull’intelligenza emotiva, «non è il più intelligente a raggiungere i risultati migliori, ma chi sa gestire le proprie emozioni e relazioni». La condivisione, l’empatia e la cooperazione diventano allora strumenti fondamentali per la crescita personale e collettiva.
Ecco perché credo che la scuola debba orientarsi non a creare competitori, ma persone consapevoli, capaci di collaborare e di esprimere al meglio la propria unicità. E in questo percorso il nostro ruolo di insegnanti è decisivo: non siamo semplici trasmettitori di nozioni, ma facilitatori di crescita, guide che accompagnano con rispetto e passione ogni allievo nel suo cammino, perché ognuno possa sentirsi valorizzato per ciò che è e non per quanto riesca a superare gli altri. In fondo, insegnare significa divertirsi nel trasmettere il sapere, senza ridurlo a un elenco di nozioni seriose. Lo ricorda bene Alessandro Barbero: «Quando racconto ritorno un bambino che giocava con i soldatini». Ed è proprio questa dimensione ludica che la scuola dovrebbe recuperare, se vuole davvero essere uno spazio di condivisione e non di competizione.

©️ Cristian A. Porcino Ferrara

giovedì 2 ottobre 2025

Spalle al muro: il peso nascosto della demenza

 


La demenza senile è una malattia che non isola mai una sola persona: è una frattura silenziosa che attraversa le famiglie, un lento dissolversi che porta via chi si ammala e chi lo accompagna. Colpisce la memoria, i pensieri, l’identità stessa: noi siamo i nostri ricordi, e quando vacillano diventiamo lenti frammenti di noi stessi, fino a sembrare corpi presenti ma anime assenti.
Ho conosciuto questa realtà nel dolore di vedere mio padre scomparire giorno dopo giorno, divorato dalla malattia, fino a scoprirmi non più soltanto figlio, ma padre di mio padre. La sua fragilità ha cambiato il volto della mia vita, insegnandomi che si cresce anche così: quando il tempo non si misura più solo nei propri giorni, ma nell’intensità con cui si vive accanto a chi ti ha messo al mondo.
Eppure, troppo spesso, la società e le istituzioni trattano tutto questo con superficialità. Nei pronto soccorso i sintomi vengono minimizzati, l’ascolto è distratto, e la storia di un essere umano si riduce a una diagnosi. Renato Zero, in Spalle al muro, canta: “Vecchio, diranno che sei vecchio, con tutta quella forza che c’è in te. Vecchio, sì
con quello che hai da dire
Ma vali quattro lire, dovresti già morire
tempo non c'è ne più
Non te ne danno più...".
Parole che descrivono bene lo stigma che accompagna chi invecchia: come se la malattia potesse cancellare dignità e vita.
La psicologa Dawn Brooker ci ricorda che la cura deve essere centrata sulla persona, non solo sulla diagnosi. Dietro ogni sguardo smarrito resta sempre una storia che chiede rispetto. Anche Teepa Snow ci invita a cambiare prospettiva: la persona con demenza non ci “dà un problema”, ma “vive un problema”.
Il dolore di chi assiste è silenzioso ma profondo: stress, isolamento, rinunce lavorative, logoramento interiore. Spesso si sacrifica tempo, opportunità, etc. Dietro ogni malato c’è un essere umano da custodire, e dietro ogni persona che si prende cura di un familiare affetto da demenza c’è un cuore che resiste, pur con le spalle al muro.
Forse il compito più grande che abbiamo come società è non dimenticarlo. La dignità non deve mai essere un lusso, ma un diritto che dura fino all’ultimo respiro.

©️ Cristian A. Porcino Ferrara

martedì 30 settembre 2025

Come si riconosce l'ignoranza

 




Sabato scorso, in Rai, è andata in onda una scena vergognosa: nel 2025 c’è ancora chi si chiede “come si riconosce un gay?”.

Per rispondere, soliti cliché stantii e stereotipi ridicoli, vecchi come il cucco.

La verità è semplice: non si riconosce un gay, perché non c’è nulla da riconoscere. Una persona gay è identica a una persona etero, così come un intelligente non si distingue da uno stupido guardandolo in faccia.

Cara Muccitelli, questo non è intrattenimento. È solo un modo per alimentare ignoranza e discriminazione in un Paese che avrebbe bisogno di rispetto, non di siparietti da barzelletta.

©️ Cristian A. Porcino Ferrara

domenica 28 settembre 2025

"111 luoghi di Catania che devi proprio scoprire" di Florinda Giannino e Marco Lo Curzio



( "111 luoghi di Catania che devi proprio scoprire"
di Florinda Giannino e Marco Lo Curzio, Emons: Edizioni, pp.236, € 16.95).

Un viaggio sorprendente nel cuore di Catania, tra luoghi poco conosciuti, storie affascinanti e dettagli che spesso sfuggono anche a chi ci vive. In quanto catanese, ho apprezzato profondamente questo percorso attraverso la storia e le tradizioni della mia città, raccontate con passione e grande cura.

Catania è una città dal carattere unico, forgiata dalla forza dell’Etna e intrisa di arte, musica e letteratura. È la terra di Giovanni Verga, Vincenzo Bellini, Franco Battiato, Carmen Consoli, Emilio Greco, Goliarda Sapienza e di tanti altri che hanno saputo tradurre in arte il suo spirito intenso e contraddittorio. Questo libro ne cattura l’essenza, invitando a guardarla con occhi nuovi – o forse, semplicemente, con più attenzione. Particolarmente apprezzabile la parte visiva: fotografie ben curate dei monumenti descritti che arricchiscono ogni tappa, rendendo il racconto non solo narrativo ma anche visivo. Aiutano a visualizzare, ad immergersi, a riscoprire. Una lettura assolutamente consigliata a chi ama Catania e a chi vuole davvero conoscerla.
©️ Cristian A. Porcino Ferrara

sabato 27 settembre 2025

Riconosci il tuo Altrove

 


Sulle tracce dell’altrove di Cristian A. Porcino Ferrara è un saggio breve ma potente, che fonde introspezione, memoria e cultura in un viaggio verso ciò che ci definisce e, spesso, ci sfugge. Con un linguaggio evocativo e una fitta rete di riferimenti – da Battiato a Platone, da Shepard a Pasolini – l’autore indaga temi universali come la bellezza, l’identità, la spiritualità e la diversità, parlando direttamente al lettore contemporaneo.

Perfetto per chi ama riflettere, per chi cerca nella parola scritta una bussola etica ed estetica, il libro si posiziona come una lettura colta ma accessibile, capace di unire empatia e pensiero critico. Un invito a riconoscere il proprio “altrove” - non come fuga, ma come verità.
Il libro è in vendita su Amazon

sabato 20 settembre 2025

Il Potere Incolore: quando un leader religioso sceglie il silenzio

 


C’è qualcosa di inquietante nel potere quando si presenta in punta di piedi. Quando governa, decide, indirizza… ma senza mai veramente esporsi. È il caso dell’attuale pontefice della chiesa cattolica, Leone XIV: un uomo potente, rispettato, indubbiamente influente. Ma anche, inevitabilmente, incolore.

Lo si ascolta parlare, ma raramente dire. I suoi discorsi scorrono come acqua liscia su una superficie di vetro: puliti, levigati, privi di attrito. Mai un’espressione fuori posto, mai un’affermazione che rischi di dividere, turbare o infiammare. Il suo stile è quello della neutralità assoluta – e forse anche dell’opacità.

Non è che manchino i temi su cui prendere posizione. Il mondo è attraversato da fratture profonde: crisi climatiche, guerre, disuguaglianze crescenti, conflitti etici. In molti guardano a lui aspettandosi una parola chiara, una direzione, un coraggio. Ma le risposte sono spesso fumose, ambigue, incapsulate in una prudenza che rasenta l’inazione.

Il confronto con il predecessore diventa inevitabile. Papa Francesco era un uomo dai modi meno raffinati, a volte irruenti, certo. Ma vero. Esposto. A tratti persino scomodo. Le sue dichiarazioni erano oggetto di critiche, satire, interpretazioni forzate… ma mai di indifferenza. Perché dietro ogni sua parola si sentiva la volontà di esserci, anche nel rischio, anche nell’errore.

Ora invece regna una calma sospetta. Nessuno scandalo, nessuna gaffe, nessun titolo controverso. Ma anche nessuna scossa. Si respira una leadership prudente fino all’afonia, incapace di scuotere le coscienze o di infiammare un dibattito. Un governo del silenzio, che tiene in ordine tutto ma non accende nulla.

E allora viene da chiedersi: è questo ciò che serve oggi? Un’autorità che si limita a evitare il conflitto, o un uomo che, pur sbagliando, si espone, si compromette, si fa carico del peso del proprio tempo?
Forse, oggi più che mai, abbiamo bisogno di voci imperfette ma vere. Non di eco impeccabili.

©️ Cristian A. Porcino Ferrara 

sabato 6 settembre 2025

Buon compleanno Re di Girgenti

 



Caro Andrea,

oggi avissi fattu cent’anni. Cento! E io mi trovo cca, cu 'sta gratitudini ca non si po’ diri tutta cu li paroli.

La tò parola, la tò manera di cuntari, è sempri stata pi mia comu un vantu, un segnu distintivu. Pirchì a verità, Andrea, nuiatri siciliani ‘u sapemu bonu chi voli diri nasciri ‘n un’isula. Non è cosa pi tutti.

U filòsufu Manlio Sgalambro, unu ca mancu iddu si girava i paroli 'n bocca, dissi ca ‘u distino d’un’isula è scrittu d’intra, ‘nta na sustanza esoterica. Comu a diri: o la capisci, o ti scanta. E tu, Andrea, a capisti, e a facisti parrari e sentiri.

La Sicilia, riceva Sgalambro, esisti sulu comu fenominu estèticu. Comu a diri: è vera sulu quannu l’arte la fa pariri tali. Sulu quannu l’occhiu d’un artista, d’un scritturi, d’un pueta, d'un musicista la scodda e la spogghia di tutti li veli, allura sì, ca diventa reali.

E tu, cu li tò cunti, cu Montalbano e tutta ‘a cumpagnia bedda ca ti sei purtatu appressu, ci hai datu ‘stu miraculu. A tò terra, a nostra terra, la fici parrari. L’hai fatta canusciri, apprezzari, amare.


Oggi genti veni di ogni banna: francisi, tideschi, amiricani, cinisi, tutti a caminari ‘nta Vigàta — ca mancu esisti, ma oramai è più vera di tante cità. Vènnunu pi vidiri ‘u munnu tò, e pi sentiri ‘u profumu di 'sta Sicilia tò e nostra.
Quantu mi manca a tu vuci. 
Tu, che non ti facivi manco scalfìri, che cu na taliata sola avevi già capito tutto... E quannu virevi certi ominicchi, certi viddani ca scoccia n'to culu e in giacca e cravatta e u petto gonfio e 'u cervello vacanti, che si cridevano 'u Padreterno e invece manco a scrìviri sapivunu, ti veniva voglia di spiattellaricci nfacci tuttu 'u schifu loro. E lo facivi, senza mancu scusarti. N'arripuddutu 
n'funnu è come a cetti puccidduzzi. U sannu tutti ca u poccu ca cravatta sempre poccu è!
Ti semu debbitori, Andrea.
Pi tuttu chiddu ca scrivisti, pi comu ‘u scrivisti.
E pi comu, puru quannu non c’eri chiù, arristasti cu nuiatri.

Grazzie, e bon compleannu, re di Girgenti.

©️ Cristian A. Porcino Ferrara


lunedì 1 settembre 2025

Queer Art

Queer art è un termine che si riferisce alla produzione artistica che esplora temi legati all’identità di genere, alla sessualità e alla resistenza alle norme eteronormative. Il concetto si è sviluppato in parallelo con l’attivismo LGBTQ+, ma ha radici che risalgono anche più indietro nel tempo. La nostra esistenza risale alla notte dei tempi e ancora oggi si tenta in ogni modo di oscurarla. Fortunatamente dagli abissi della Storia la Verità emerge con forza. Il (m)Adamo in bella mostra ci svela che non per tutti esiste una Vittoria Colonna da sbandierare come compagna, amante o moglie.



Forse l'artista voleva dirci proprio questo cancellando nella sua opera i  tratti fisici machisti e stereotipati che caratterizzano solitamente il primo uomo. Nel tempo, infatti, il concetto di queer art si è ampliato, includendo rappresentazioni non binarie, trans, intersezionali e post-coloniali. Oggi non è solo una categoria tematica, ma anche un approccio critico che mette in discussione norme, gerarchie e canoni tradizionali dell’arte.



A seguire una piccola carrellata di alcune opere di queer art inconsapevole (o forse no) e manufatti artistici o murales disseminati per l'Italia e in luoghi di culto impensabili e ben frequentati dai bigotti di matrice religiosa. In fondo i bigotti religiosi si somigliano un po' tutti. Inutile specificare! Adesso chi glielo spiega che nella cosiddetta casa di Dio ci siam sempre stati e che non occorrono perdonanze o altre sciocchezze per esistere? 

 ©️ Cristian A. Porcino Ferrara