domenica 26 aprile 2009

“The Secret (Il segreto)” di Rhonda Byrne


“The Secret (Il segreto)” di Rhonda Byrne per Macro Edizioni è da diversi anni in cima alle classifiche dei bestseller di tutto il mondo. Devo confessare che in un primo momento mi ero accostato al presente libro con una certa diffidenza per via dell’intento descritto dall’autrice in apertura del testo; ossia rivelare un segreto in grado di cambiare la vita dell’uomo. Dal momento che non sono un credente nel senso religioso del termine, non potevo accettare che una scrittrice si mettesse sullo stesso piano di moltissime altre religioni che intendono mutare l’essenza dell’uomo. In verità il presente libro non è originalissimo in quanto a concetti; perché basterebbe rileggersi parte dei filosofi venuti prima di noi per comprendere che il segreto era già in loro possesso. Ad esempio già Locke e Hume avevano individuato che l’intelletto umano è capace di grandi cose, considerandolo quindi un potenziale inespresso. Difatti Aristotele parlava di differenza sostanziale fra potenza e atto; e via discorrendo. Effettivamente il motivo per cui questo libro è diventato tanto popolare negli anni è da ricercarsi proprio nella narrazione degli eventi utilizzata dall’autrice. Rhonda Byrne mette il lettore in una condizione non passiva ma attiva. Lo coinvolge con la citazione di esperti, saggi o scrittori del presente e del passato. Riporta episodi di gente comune “guarita” grazie all’applicazione di questo segreto, etc. Il fatto è che questo libro non fa male a chi lo legge; proprio perché gli insegna che l’uomo è il principio di tutte le cose. Egli è portatore di ogni bene come di ogni male. Noi umani siamo in sintonia con il tutto che risiede nell’Universo. Difatti possiamo definirci delle creature spirituali; dei veri déi incarnati. So benissimo che quanto detto risulterà ostico ai credenti delle confessioni religiose, ma non è in antitesi con quanto essi credono. Per portare un esempio tangibile, Gesù disse che il più importante comandamento è “ama il prossimo tuo come te stesso”. Ed è proprio amando la nostra persona che potremo aprirci al mondo con tutta l’energia positiva che risiede in noi. Coloro i quali dicono di rappresentare il Cristo o altre divinità in terra vogliono a tutti i costi ostacolare l’emancipazione degli uomini dagli incubi delle proprie paure. Nessuno di noi vive sottomesso a un Dio che tutto ha deciso per la nostra vita; ma siamo in contatto con l’Energia primordiale (Anima Mundi), che ci sospinge continuamente a percorrere il nostro sentiero di vita. Rileggendo alcune pagine di “The Secret” troviamo esposti in una sintesi perfetta gli insegnamenti buddisti, cristiani, induisti e di altre religioni e filosofie. Pertanto il lavoro della Byrne, sicuramente agevolato e preceduto da un enorme battage pubblicitario; ha fatto in modo che il proprio lavoro venisse piazzato all’interno di un circuito non ristretto di pubblico. Non ci troviamo davanti a nessun capolavoro, a nessuna nuova dottrina, ma semplicemente a un libro – esteticamente molto raffinato - che in modo più che appassionante cerca di coinvolgere e responsabilizzare l’essere umano ad avere più fiducia in se stesso e a sentirsi meno succube delle azioni compiute.


Cristian Porcino

sabato 25 aprile 2009

“Oriana Fallaci – Morirò in piedi” di Riccardo Nencini


Poche scrittrici hanno saputo caratterizzare la storia letteraria e culturale di un paese come ha fatto Oriana Fallaci. Di sicuro non sempre si poteva essere d’accordo con il suo pensiero, ma bisogna riconoscerLe che fu sempre coerente con i propri ideali.
“Oriana Fallaci morirò in piedi” di Riccardo Nencini per Edizioni Polistampa raccoglie un dialogo privato intercorso fra l’autore del saggio e la stessa Fallaci avvenuto qualche mese prima della sua morte. Il ritratto che ne viene fuori non ci stupisce più di tanto, perché ci ricorda la Fallaci di sempre, idealista e pragmatica, pungente e ironica anche quando “l’alieno” (il cancro!), le procurava sofferenze indicibili. Dallo scritto di Nencini apprendiamo che Oriana Fallaci consapevole della sua imminente scomparsa desiderava mettere a punto le ultime scartoffie burocratiche nonché prendere delle decisioni su un manoscritto non ancora ultimato, che verrà poi pubblicato postumo col titolo ”Un cappello pieno di ciliegie”. Oriana Fallaci nelle confidenze all’amico Nencini non tralascia di parlare di un occidente sempre più affaticato dalla minaccia pressante del terrorismo islamico. Il fantasma dell’ “Eurabia” aleggia nelle pagine dello scritto in questione senza protrarsi in sterili polemiche. Tali riflessioni possono essere percepite come le afflizioni di una donna che giunta alla fine della propria esistenza sente l’esigenza di rivolgere il proprio affetto ad un continente culturale in cui ha vissuto e maturato le sue avventure di scrittrice.
Riccardo Nencini nel breve saggio “Oriana Fallaci Morirò in piedi” consegna un ritratto fedele e deciso di una scrittrice italiana che spesso è stata accusata per le proprie idee e che ha dovuto subire persino un processo per aver offeso l’altrui religione. Di sicuro la Fallaci verrà ricordata ancor prima che per le sue pagine “arrabbiate”, per gli ottimi reportage di guerra e per le pagine di libri quali: “Lettera a un bambino mai nato”, “Insciallah”, “Un uomo”ecc.


Cristian Porcino

giovedì 23 aprile 2009

“I cieli di Kabul” di Khaled Hosseini


“I cieli di Kabul” per Datanews Edizioni racchiude diverse interviste realizzate dalla stampa estera allo scrittore afgano Khaled Hosseini. Queste interviste sono state effettuate dopo il successo planetario de “Il cacciatori di aquiloni” e durante la gestazione del suo secondo romanzo “Mille splendidi soli”. Attraverso le domande dei giornalisti di tutto il mondo, impariamo a conoscere un po’ meglio la persona dello scrittore Hosseini. Le sue opere letterarie hanno incantato il pubblico mondiale proprio per la vena realistica ed intimista conferita agli scenari e alle situazioni descritte, in cui di volta in volta, si muovono i suoi personaggi. Ritengo che “Il cacciatore di aquiloni”e “Mille splendidi soli” siano delle opere davvero eccellenti sotto ogni profilo. Era da tempo che non mi accostavo a dei romanzi di tale qualità artistica. Ne “I cieli di Kabul” , Hosseini ricorda la prima parte dell’infanzia trascorsa a Kabul, e la successiva migrazione dapprima a Parigi e in un secondo tempo negli Stati Uniti dove divenne medico e dove vive attualmente. Le sue parole, così come i pensieri espressi dai personaggi ideati dalla sua immaginazione, riflettono una naturalezza ed una veracità assolutamente disarmante. Inoltre Khaled Hosseini ha un merito molto grande, ovvero quello di aver fatto conoscere al mondo occidentale una parte della cultura afgana totalmente ignorata. Pensiamo al racconto appassionato di quei valori che furono stravolti prima dall’occupazione sovietica e poi da quella repressiva dei talebani. Questo testo sarà di sicuro interesse per coloro che hanno amato i suoi racconti appassionanti; che riescono a rapire il lettore in un vortice di coinvolgimento emotivo; oramai quasi raro sul mercato editoriale. Per il resto, il testo in questione risulta assai ripetitivo; poiché le domande a cui deve rispondere Hosseini sono quasi sempre le stesse, evidenziando peraltro contenuti già noti al lettore dopo le prime tre interviste del libro.


Cristian Porcino

martedì 21 aprile 2009

“Lo scrittore americano e la ragazza perbene” di Fernanda Pivano


“Lo scrittore americano e la ragazza perbene” di Fernanda Pivano per Tullio Pironti Editore racconta la storia d’amore fra Nelson Algren e Simone de Beauvoir. Fernanda Pivano una delle protagoniste assolute della letteratura italiana e non solo, ha tradotto e contribuito alla diffusione nel nostro paese, delle opere di scrittori quali Hernest Hemingway, Edgar Lee Masters, Fitzgerald, etc. In certi casi le sue traduzioni furono più importanti delle opere in sè. In questo breve racconto l’autrice ripercorre la focosa passione che pervase Simone de Beauvoir, - per altro già compagna del filosofo Jean Paul Sartre - , per lo scrittore americano Algren. Alla fine del racconto della Pivano vi sono raccolte alcune lettere che la de Beauvoir scrisse a Nelson. Durante la lettura di queste missive d’amore nulla potrebbe farci pensare che furono redatte dalla filosofa e scrittrice francese se non vi fosse apposta in fine la sua firma. Le lettere sembrano scritte da una scolaretta innamorata pazzamente del suo principe azzurro; nulla delle analisi rigorose a cui la de Beauvoir ci ha abituati è rintracciabile in queste missive. Simone puntualizzò spesso a Nelson Algren che per lui nutriva vero amore; un sentimento sospinto dalla passione sessuale che investe e coinvolge un rapporto. Ciò che la legava invece a Sartre era l’affetto e la riconoscenza per tutta la stima professata negli anni; e per nulla al mondo lo avrebbe abbandonato. Effettivamente fu il filosofo esistenzialista ad introdurla nella società letteraria che contava. Algren invece non poteva accettare questo menage a trois e col tempo finì con allontanarla da sé. La Pivano descrive questa storia con la sapienza narrativa che caratterizza gran parte della sua produzione artistica. La de Beauvoir continuò a restare al fianco del suo Sartre ma continuò ad intrattenere relazioni sessuali con altri uomini per non sentirsi spenta da un punto di vista sessuale. Proprio quest’anno trovandomi a Parigi mi recai al cimitero di Montparnasse per rendere omaggio alla tomba dove furono sepolti insieme sia Sartre che la de Beauvoir. Certamente non furono le avventure con altri uomini, o questa considerazione inusuale che i due avevano della coppia a dividerli né in vita né in morte; ma anzi ciò che li rese uniti andò ben oltre il significato convenzionale dell’amore reciproco. In definitiva il libro di Fernanda Pivano è davvero interessante perché analizza una parte della vita dei due scrittori che i più conoscono poco. Una considerazione a margine: di Nelson Algren come scrittore oggi non si sente più parlare, le sue opere forse sono poco considerate dagli ambiti culturali; mentre Simone de Beauvoir è più che presente con le sue opere nelle università e nelle scuole di tutto il mondo.


Cristian Porcino

lunedì 20 aprile 2009

“La masseria delle allodole” di Paolo e Vittorio Taviani


Le Edizioni Titivillus hanno pubblicato la sceneggiatura originale del film “La masseria delle allodole” scritta dai fratelli Paolo e Vittorio Taviani. Il presente volume è curato da Lorenzo Cuccu e Andrea Mancini. Al suo interno troviamo anche le foto realizzate da Umberto Montiroli. Il film dei fratelli Taviani liberamente ispirato al libro di Antonia Arslan, rievoca con magistrale bravura il tremendo genocidio del popolo armeno ad opera dei turchi nel 1915- 1916. “La masseria delle allodole” racconta la storia di una ricca famiglia armena che all’improvviso si ritrova a sopravvivere ad una tragedia pianificata che ordina l’uccisione immediata dei maschi della casata. Il patriarca Hovhnnès qualche minuto prima di morire, rivela al nipote parte della visione percepita e dice: “fuggite tutti”. Il popolo armeno violato e soppresso in nome di un nazionalismo esasperato anticipa di gran lunga la Shoah ebraica. Come sempre l’uomo rimuove facilmente dalla propria coscienza storica tali immagini. È ben più triste il fatto che il popolo armeno ancora oggi non abbia ottenuto giustizia né un riconoscimento ufficiale. Esiste il giorno della memoria (27 gennaio) per ricordare lo sterminio del popolo ebraico, ma non una commemorazione ufficiale per onorare il sacrificio di milioni di armeni. Come ricorda Lorenzo Cuccu nel suo saggio introduttivo: “ il bilancio oscilla, secondo le fonti, fra 800 mila e 1 milione e 500 morti, anche a causa di stime diverse della popolazione armena nell’impero ottomano nel 1915” . Paolo e Vittorio Taviani hanno realizzato un film di grande impatto emotivo e soprattutto molto coraggioso. Prima de “La masseria delle allodole” quasi nessun regista aveva sentito l’esigenza di girare un film su questa tematica. Ricordo la bellissima fiction rai del 1992 girata da Henri Verneuil pseudonimo di Achod Malakian e dal titolo “Mayring – Quella strada chiamata paradiso” che raccontava con grande delicatezza e dolcezza la sofferenza del popolo armeno. In quell’occasione ancora una volta la tragedia di un popolo riviveva grazie all’intreccio narrativo di una storia familiare. In “Mayring” era la vita dello stesso regista a raccontare sullo schermo la tragedia che si era consumata; mentre il film dei Taviani si dipana grazie alla testimonianza raccolta da Antonia Arslan. Attraverso la lettura di questo libro si potrà riflettere maggiormente sulla potenza evocativa dei dialoghi scritti dai fratelli Taviani al di là della loro stretta simbiosi con la rappresentazione cinematografica.


Cristian Porcino

venerdì 17 aprile 2009

“Al tavolo del Cappellaio Matto” di Alberto Manguel


“Al tavolo del Cappellaio Matto” di Alberto Manguel per Archinto Edizioni è un saggio affascinante sulla follia umana.
Il libro di Manguel è molto interessante, scritto con una vera padronanza linguistica che dimostra e comunica al lettore tutta la passione dell’autore per la letteratura e l’arte in generale.
Nel testo in questione Manguel si serve di ampi passaggi tratti dalle opere di Lewis Carroll e più precisamente “Alice nel paese delle meraviglie” e “Al di là dello specchio”. E chi se non Carroll stesso, illustrò con grande intelligenza ed ironia, la vera follia degli uomini? Attraverso il capolavoro carrolliano, Manguel estrapola e contestualizza la filosofia di uno dei personaggi del racconto, ovvero il Cappellaio Matto. Quest’ultimo egocentrico e decisamente cinico, crede di poter dominare ogni cosa. Proprio come fanno i potenti della terra che si disinteressano dei mali dell’umanità e dei più bisognosi, accordandogli sbrigativamente, un invito alla mensa dei matti in cui si può prendere “un po’ più di niente”.
Come ci ricorda Manguel: “al tavolo del Cappellaio Matto oggi non siedono le creature immaginarie incontrate da Alice, ma individui penosamente reali”. Questo libro è decisamente un lavoro raffinato ed entusiasmante, poiché l’autore smantella diversi luoghi comuni, portando il lettore a conoscere più da vicino gli scrittori e gli artisti. Si potrà osservare la somiglianza del capitano Nemo con Jules Verne; la lucidità descrittiva di Stevenson; oppure la brillante, quanto incompresa “follia” di Van Gogh che riuscì a ritrarre l’uomo e la natura senza filtri sociali precostituiti, etc. Leggere “Al tavolo del Cappellaio Matto” è come fare comodamente un viaggio all’interno della psiche umana, nel tentativo di comprendere quella dolce follia che ha spinto gli artisti di tutte le epoche a cimentarsi con la realizzazione di opere, divenute nel tempo capolavori dell’umanità. La letteratura è il paese delle meraviglie per antonomasia, e noi come Alice impareremo a districarci dentro i fantastici labirinti linguistici disseminati all’interno dei libri che più abbiamo amato nella nostra vita. Questo libro non è solamente una raccolta di saggi scritti da Alberto Manguel, ma una vera storia della letteratura riscritta attraverso le sensazioni che hanno suscitato nel suo autore. Permettetemi di segnalare l’ottima traduzione effettuata da Ilaria Rizzato e Barbara Cavallero. In definitiva consiglio vivamente la lettura del presente libro perché riuscirà ad accattivare anche il lettore nonché lo studente più distratto.


Cristian Porcino

lunedì 13 aprile 2009

“Cristiani in Pakistan. Nelle prove la speranza “ di Shahbaz Bhatti


“Cristiani in Pakistan. Nelle prove la speranza “ di Shahbaz Bhatti per Marcianum Press è la testimonianza diretta di un cattolico pakistano.
Il direttore della Caritas di Venezia Dino Pistolato, si è recato in Pakistan nel dicembre del 2005 ed ha incontrato Shahbaz Bhatti, direttore dell’APMA. Bhatti sin da giovanissimo si è prodigato per difendere i propri valori e il suo credo cristiano in una società dominata dal fanatismo di certi estremisti islamici. È stato molte volte contestato, minacciato di morte da coloro che non hanno mai compreso il suo lavoro, che consiste nel testimoniare la propria fede in Cristo attraverso le opere di carità. Bhatti è stato persino consigliere di Benazir Bhutto assassinata il 27 dicembre 2007. Questo attivista cattolico, che nel testo ha più volte espresso l’esigenza di non partecipare alla vita politica del suo paese, è diventato il 3 novembre 2008 il nuovo ministro per la difesa delle minoranze. Nulla di scandaloso in questo; perché così potrà combattere al meglio, e nelle sedi più opportune per vedere riconosciuti alcuni diritti inalienabili di ogni essere umano. Il libro sicuramente è stato pubblicato prima di tale carica, anche perché come già detto, Bhatti dimostrava una certa riluttanza nell’ accettare incarichi politici pubblici. Comunque sia, in questo libro l’autore ricorda cosa significa essere cristiani in un paese devastato da certa ignoranza, che li considera ancora una minoranza scomoda, ed in certi casi li tortura e uccide. L’associazione di Bhatti assiste molte persone che sono state perseguitate e condannate a pene ingiuste; offrendo loro assistenza legale gratuita. In definitiva questo libro porta a conoscenza dei lettori occidentali una realtà a molti sconosciuta. Tale lettura è un ottimo pretesto per riflettere su come si possa vivere in una terra martoriata, e al contempo essere testimoni di fede. Infine mi congratulo con Shahbaz Bhatti per l’incarico ottenuto, perché sono sicuro riuscirà ad operare in maniera più incisiva per ogni minoranza etnica e religiosa presente in Pakistan che non sia solo cattolica o cristiana.


Cristian Porcino

venerdì 10 aprile 2009

“Leggende metropolitane. Storie improbabili raccontate come vere” di Jan Harold Brunvand


Avete mai sentito raccontare storie di autostoppisti fantasmi? O di stranieri che banchettano con carne di cane al barbecue? Oppure di baby sitter psicopatiche? Bene, queste come tante altre sono soltanto alcune delle leggende metropolitane che si sono diffuse e narrate negli anni in tutto il mondo civilizzato. Questo fenomeno è analizzato dallo studioso Jan Harold Brunvand e più precisamente nel libro “Leggende metropolitane. Storie improbabili raccontate come vere” edito da Costa & Nolan. Brunvand raccoglie un vasto campionario di storie che si dipanano dal 1980 in poi; e come dice egli stesso nella prefazione del libro: “le leggende metropolitane appartengono alla sottoclasse delle narrazioni popolari, leggende che – a differenza delle fiabe - possono essere credute o sono almeno credibili, e che – a differenza dei miti – sono ambientate in un passato recente e hanno come protagonisti essere umani normali anziché antichi dei o semidei”.
Spesso persino i giornali e le televisioni contribuiscono ad alimentare tali leggende metropolitane per scatenare una serie di effetti collaterali fra persone troppo distratte. Il pregio di questo volume è il linguaggio utilizzato che permette anche ad un lettore poco avvezzo ai saggi, di barcamenarsi con facilità in studi di tale tipologia. Le storie sono raggruppate secondo la categoria di appartenenza. Inoltre sotto ad ogni leggenda metropolitana riportata, l’autore ci fornisce una descrizione su come sia nata tale storia, e sulle indagini condotte per appurare l’infondatezza di tale notizia. Il libro di Jan Harold Brunvand è davvero interessante, anche se a tratti un po’ ripetitivo. Alcune storie, pur essendo dei classici esempi di leggende urbane, sembrano essere troppo obsolete per un pubblico abituato all’iperattività internettiana attuale. Forse il presente libro andrebbe rivisitato ed aggiornato con storie più fresche.
Consiglio comunque la lettura di questo testo, perché porterà il lettore dentro i meandri più oscuri del folclore moderno.


Cristian Porcino

“Vola via con me” di Chicco Sfondrini e Luca Zanforlin


Dopo “A un passo dal sogno” (2007) e “Fra il cuore e le stelle” (2008) ecco il terzo libro del duo Chicco Sfondrini e Luca Zanforlin: “Vola via con me”. I due autori del noto talent show “Amici di Maria De Filippi” hanno dato vita ad un libro inutile sotto ogni profilo. Il libro sembra essere più che il romanzo di Amici quello di Uomini e donne. Premetto che non nutro alcun pregiudizio né sul programma televisivo di Amici che seguo con grande interesse e partecipazione, né nei confronti di Maria De Filippi che reputo una donna di raffinata intelligenza e di talento; ma questo “Vola via con me” non ha nulla dei precedenti libri e proprio per questo non ha alcuna utilità. Più che un libro sembra un’ accozzaglia di gossip per teenagers in piena tempesta ormonale o per signorotte alla ricerca di scandaletti con cui condire le chiacchierate quotidiane. Il protagonista di questo libro è Marcello ancora una volta un ballerino dopo il Mattia dei precedenti volumi. Qui però non si ha una storia ben congegnata, o perlomeno sensata, si fantastica sulla storiella che l’allievo ballerino ha con un insegnante di canto della scuola catodica più famosa d’Italia. “Vola via con me” è un tentativo mal riuscito di emulare gli altrettanti librettini inutili di Federico Moccia, che per altro è anche vagamente citato nel testo in questione. I precedenti libri di Zanforlin e Sfondrini non erano mica capolavori; ci mancherebbe, ma quantomeno erano attinenti con la scuola defilippiana. In “A un passo dal sogno” e “Fra il cuore le stelle” si narravano alcuni retroscena di uno dei programmi più seguiti della tv italiana. Ebbene non credo che Sfondrini e Zanforlin abbiano voluto fare della letteratura – anche perché mancano i presupposti -, ma semplicemente raccontare storie che riguardavano il mondo di Amici, e che i due autori conoscono alla perfezione. Ma in questa nuova avventura nulla ha a che vedere con il programma, se non lo sfondo più utile e immediato per ambientare una storiella, che se fosse stata scritta da un autore alle prime armi la Mondadori non avrebbe accettato non solo di pubblicarla, ma non avrebbe letto nemmeno la sinossi. Persino il linguaggio utilizzato dai due autori ha seguito una regressione. Le descrizioni sembrano estrapolate da “novella 2000”, senza approfondire alcun aspetto in particolare della storia. L’allievo Marcello non ha nulla di elettrizzante o di accattivante come invece accadeva per Mattia, protagonista dei due libri passati. Nessuno scavo psicologico dei personaggi, e nessuna parvenza di credibilità nelle scene descritte. A mio avviso “Vola via con me” è stato redatto per cavalcare il successo televisivo del programma senza avere una cognizione di causa di ciò che si stava elaborando. Davvero un peccato; perché sia Sfondrini che Zanforlin sono due uomini che hanno dato prova di scrivere dei libri per ragazzi senza scadere nella banalità ed ovvietà; ma questa volta hanno seriamente toppato. Mi auguro che l’anno prossimo non ci sia un quarto libro sulla falsa riga di questo, perché sarebbe per gli autori come darsi una zappa sui piedi da soli.


Cristian Porcino

martedì 7 aprile 2009

“Le memorie di Jack lo squartatore” di Clanash Farjeon


“Le memorie di Jack lo squartatore” di Clanash Farjeon pseudonimo di Alan John Scarfe per Gargoyle Edizioni, è un dramma psicologico suggestivo e realistico.
Il libro procede con ritmi serrati soltanto dopo i primi tre capitoli, dedicati alla descrizione introspettiva della genesi omicida di Jack Lo Squartatore. Clanash Farjeon scrive egregiamente, adottando uno stile a metà fra il romanzo storico e le inchieste giornalistiche più avvincenti. Questo libro ci accompagna proprio all’interno dei pensieri più intimi di un serial killer. L’autore trae ispirazione dalla vita del medico - psicologo realmente esistito Lyttleton Steward Forbes Winslow per dare un volto al temibile Jack the Ripper. Il paragone con i drammi shakesperiani però mi sembra fin troppo azzardato; non bastano dotte citazioni tratte delle opere di William Shakespeare per essere assimilati ad un autore imparagonabile nel panorama letterario mondiale. Se mai, come dice Luca Crovi nella prefazione del libro, Farjeon- Scarfe sembra emulare il filone narrativo inaugurato da Louis Stevenson con “Dr. Jekyll e Mr. Hide”.
Per altro gli omicidi perpetrati da Jack lo Squartatore vengono vissuti e descritti come dei veri riti di purificazione che inneggiano all’iconoclastia e blasfemia. Il killer considera i luoghi dove commette gli assassini come dei sacrari; zone di culto da venerare e da non profanare. Lui il Signore della folgore abbagliante, desidera competere con il divino idolatrato dalle genti, perché anche lui sottraendo vite può decidere della vita e della morte dei suoi agnelli sacrificali. Intanto la polizia brancola nel buio, sospinta da una logica irrazionale che vide incolpare alcuni uomini soltanto perché ebrei
Clanash Farjeon sa ritrarre le atmosfere bigotte e cupe dell’epoca vittoriana, senza falsare la prospettiva storica, e senza cadere nel ridicolo; anche se a volte diventa un po’ prolisso nella descrizione di fatti e luoghi secondari al fluire del testo. Whitechapel, quartiere di Londra malfamato e frequentato in prevalenza da prostitute e ubriaconi, diviene uno scenario agghiacciante e truculento. Questo assassino seriale la cui identità non venne mai svelata realmente, trova in questo libro una nuova giovinezza
L’ipotesi su Jack lo Squartatore avanzata dall’autore non è troppo distante dalla realtà. Chi meglio di uno specialista della psiche avrebbe potuto effettuare degli omicidi ben congegnati, e progettare successivamente un identikit fittizio di un impostore a cui imputare gli omicidi? Di ciò non sapremo mai nulla. In definitiva “Le memorie di Jack lo squartatore” è un romanzo di genere ben scritto e soprattutto supportato da tutta l’esperienza di un autore che nella vita fa proprio l’attore. Alan John Scarfe, ha interpretato per anni i drammi shakespeariani al teatro e vestito i panni di numerosi personaggi in diverse serial televisivi come “Star Trek, “Stargate”, etc. La sua prima opera fa ben sperare, e presenta grossi pregi. Proprio per questo motivo lo consiglio vivamente a tutti i lettori stanchi dei soliti gialli costruiti solamente per far soldi. Doveroso ricordare la buona traduzione di Chiara Vatteroni. Una considerazione a margine; era preferibile mantenere in italiano il significato del titolo originale dell’opera “A Handbook For Attendants On The Insane”.


Cristian Porcino

domenica 5 aprile 2009

“Il libro nero del vaticano” di Toni Braschi


Avete presente Il Codice da Vinci di Dan Brown? bene provate a dimenticarlo perché è arrivato sugli scaffali un libro decisamente importante, scritto dal romano Toni Braschi e dal titolo “Il Libro nero del Vaticano” per Edizioni Libreria Croce. A differenza del libro di Dan Brown, questo non è un romanzo ma un vero e proprio resoconto dettagliato sull’attività della chiesa Cattolica dagli inizi della propria missione ad oggi. Un libro che non ha l’intento di scalfire la religiosità dei lettori, ma che altresì, vuole rendere più consapevoli sulle contraddizioni storiche del vaticano. Troppo spesso si dimentica che la chiesa in quanto istituzione è un complesso gerarchico di funzioni terrene che si dimenano quotidianamente con la politica, l’economia etc. Quindi la chiesa essendo gestita dagli uomini non può esimersi da un confronto diretto con la storia. L’autore del libro ripercorre scandali epocali quali il falso lascito di Costantino, le turpi crociate, i tribunali dell’inquisizione fino a giungere alla morte improvvisa di Albino Luciani ovvero papa Giovanni Paolo I e agli scandali dello IOR (banca del Vaticano). Braschi racconta anche dell’attentato a papa Wojtyla, del rapimento di Emanuela Orlandi, fino agli scandali recenti della pedofilia nelle chiese cattoliche. “Il libro nero del vaticano” riesce attraverso le sue 250 pagine a ricostruire le spiacevoli vicende che hanno visto coinvolta la città del vaticano nei suoi millenni di storia. Questo libro non sarà facile da dimenticare una volta letto. Ogni testimonianza è supportata da prove storiche e arricchita da contributi giornalistici e da firme autorevoli del mondo della cultura. “Il libro nero del Vaticano” è in definitiva un libro coraggioso, avvincente e inquietante.


Cristian Porcino

venerdì 3 aprile 2009

“Suicidi in capo al mondo” di Leila Guerriero


“Suicidi in capo al mondo” di Leila Guerriero pubblicato da Marcos Y Marcos è la testimonianza nuda e cruda di una sequela di suicidi avvenuti fra il 1997 e il 2005, nella Patagonia Argentina, e più precisamente nel paesino di Las Heras. La giornalista argentina Guerriero affronta l’argomento raccogliendo diverse testimonianze dei genitori delle vittime e degli amici. Il libro per certi versi risulta molto interessante; anche se però evidenza dei grossi limiti narrativi e linguistici. La terminologia utilizzata dall’autrice per descrivere le personalità di certi soggetti umani è a mio avviso poco consona alla trattazione dell’argomento, e soprattutto del tutto fuorviante. La Guerriero apostrofa più volte alcune persone omosessuali con degli epiteti poco gratificanti e soprattutto viziati da un pregiudizio di fondo. Spesso lei scrive di trovarsi di fronte ad una checca, ad un frocio,o ad una puttana, e così via. Non è certamente un problema di traduzione dallo spagnolo che per altro Barbara Bertoni ha compiuto egregiamente; piuttosto credo sia proprio una caratteristica dell’autrice, che dimostra una superficialità ed una mancanza di tatto non indifferente. Addirittura a pagina 88 si legge: “ quel tipo si chiamava Jorge Salvatierra e sfoggiava per la prima volta quella pettinatura con riccioli e frangetta, che ogni tanto si aggiustava con un dito, un gesto da vera signorina”. Leila Guerriero avrebbe potuto risparmiarci i suoi giudizi morali sulle persone conosciute durante il suo soggiorno a Las Heras. La descrizione dei fatti e della cittadina è tanto desolante da apparire, in certi frangenti, quasi un’opera neorealista. La giornalista nonostante abbia condotto una scrupolosa indagine sul campo, alla fine del libro non perviene ad alcuna soluzione. Molti possono essere i fattori che hanno spinto queste persone a suicidarsi; ma anche molti sono i fattori che non si conoscono e forse mai si sapranno. Di sicuro ciò che viene fuori dalla descrizione effettuata dall’autrice sono dei possibili moventi; ossia il vivere in una cittadina sperduta, senza sbocchi professionali, senza luoghi idonei allo svago intellettivo, perché per quelli sessuali vi erano i bordelli, etc. Molti hanno trovato conforto nella religione che a mio avviso ha soltanto incentivato il meccanismo illusorio che ha poi reso irreversibile il processo di non identificazione con la realtà circostante. “Suicidi in capo al mondo” non ha un ritmo ben preciso; a tratti avvince e a tratti stanca. Tutto sommato rimane un lavoro da leggere perché affronta un tema scottante e poco dibattuto come quello del suicidio.


Cristian Porcino

mercoledì 1 aprile 2009

“Super Berlusconate” di Alessandro Corbi e Pietro Criscuoli


Alessandro Corbi e Pietro Criscuoli in “Super Berlusconate” per Nutrimenti Edizioni hanno raccolto il meglio del peggio delle esternazioni pubbliche fatte proprio dal nostro presidente del consiglio Silvio Berlusconi. Il pregio di questo libro è che a parlare non sono gli autori, ma il Premier in persona. Le gaff berlusconiane sono state organizzate e suddivise per argomento, ed ognuna è contrassegnata dalla fonte da cui è stata estrapolata. Come dicono gli stessi autori nella prefazione del presente libro, la gravità di quanto Silvio Berlusconi dice, è che lo fa ricoprendo la più alta carica dello stato e soprattutto in rappresentanza di una vasta popolazione. Nessun leader mondiale è così criticato per le parole che pronuncia. Berlusconi ha detto tutto e il suo contrario; e quando glielo si faceva notare lui era pronto a dare al malcapitato di turno del menzognero o del comunista. Il libro inizialmente si chiamava solamente “Berlusconate” col tempo però il Cavaliere non si è fermato, ma si è quasi superato ed ha regalato al mondo queste perle che non potevano essere ignorate dagli autori. Sicuramente il volume subirà altre riedizioni, perché lo tsunami Silvio non si arrende ed imperterrito sfodera il suo umorismo che francamente più di una volta ci ha messi in serie difficoltà con gli altri paesi europei. Ma il premier non parco delle sue doti da cabarettista, vuole a tutti i costi cambiare l’unico baluardo di verità che risiede in Italia ovvero la Costituzione. Il cavaliere vuole ringiovanire la sola cosa che in questo paese non è stata usurata dal tempo; e che tutt’oggi ci garantisce davanti al mondo una certa credibilità in quanto paese democratico. Il libro che ad un lettore poco attento potrà risultare solamente esilarante nasconde invece una desolante ricostruzione di una figura politica tanto carismatica da avere conquistato più volte palazzo Chigi. L’indimenticabile commento che egli fece in occasione della elezione del presidente Usa Barack Obama: “ è bello, giovane e abbronzato” è già passato alla storia e la stampa americana è rimasta indignata per molto tempo. Ora mi chiedo come un premier possa uscirsene così infelicemente e commentare una svolta epocale con quelle parole. Il fatto è che Silvio è convinto di essere spiritoso, ma nessuno a parte lui e i suoi adepti si sganasciano dalle risate. Il resto dell’Italia che non sorride a queste sue uscite, è imbecille oppure comunista; il che per Berlusconi è la stessa cosa. Questo libro di Corbi e Criscuoli serve a far riflettere sulla classe politica di questi ultimi anni. La Casta che domina il potere italiano è costituito da certi soggetti che francamente convincono poco. Nessuno mette in dubbio che Silvio Berlusconi possa essere un uomo ironico; anzi se è per questo lo sappiamo fin troppo bene. Il fatto è che quando si riveste un ruolo politico di un certo peso, non si agisce più solamente in propria rappresentanza ma in nome del popolo italiano; quest’ultimo già vessato da crisi economiche e sociali non ne può più di subirsi l’ennesima barzelletta perché non ha certo voglia di ridere. Il tasso di disoccupazione cresce, la sfiducia dei giovani nel mondo del lavoro è alle stelle e soprattutto il nostro paese diventa poco produttivo dal punto di vista demografico. Obama non ha mica raccontato una barzelletta agli americani per risollevarli dalla crisi; ma ha sostenuto progetti di riqualificazioni ai diversi settori in grosse difficoltà. Quindi non si può dire in conferenza stampa, “ i disoccupati si cerchino un altro lavoro”; soprattutto dopo aver negato la proposta del Partito Democratico di assegnare un sussidio mensile a coloro i quali non hanno un lavoro. Ma cosa ne sa lui della disoccupazione, forse ne avrà letto qualcosa su Topolino; perché la sua famiglia non ne conosce il significato e men che meno lui. Pertanto mi auguro che attraverso la lettura di “Super Berlusconate” i lettori italiani possano meditare un pochino sul presente di questa Italia. Perché è proprio da questo che dipenderà il nostro futuro.


Cristian Porcino